Graph Search: Facebook ZMOT (Zero Moment of TRUST)

È il trending topic del momento tra gli addetti ai lavori: il Graph Search di facebook.

La prima vera innovazione del 2013 dopo un 2012 ricco di piccole grandi novità.

Graph Search può aiutarti a trovare istantaneamente altre persone, conoscere più cose su di loro e fare connessioni, esplorare foto, trovare rapidamente luoghi come attrazioni locali e ristoranti, e conoscere interessi comuni come musica, film, libri e altro ancora. Tutti i risultati sono unicamente basati sulla forza delle relazioni e delle connessioni [Fonte: blog.tagliaerbe.com]

“Search”, “trovare”… è praticamente immediata l’associazione con Google, ossia il motore di ricerca per eccellenza nonché big competitor di Facebook , tanto che Zuckerberg ha messo subito le mani avanti specificando che il Graph Search non è come la ricerca generalista ma un modo di cercare informazioni all’interno del proprio network di contatti, il Social Graph.

Nell'esempio illustrato dal CEO, la ricerca sul Web prevede l'immissione della chiave di ricerca hip-hop per poi ottenere milioni di risultati con annessi link. Il funzionamento di Graph Search prevederà invece la digitazione della più lunga domanda a quali tra i miei amici piace l'hip-hop? [Fonte punto-informatico.it]

Tutti d’accordo quindi nel comprendere che il Graph Search sia una modalità di ricerca diversa da quella di Google, meno sul fatto che non siano in competizione. Entrambe soddisfano un bisogno, partono da un insight e questo le rende potenzialmente sostituibili.

Vi guido nel mio ragionamento.

Chi mi conosce sa che ho il bisogno di contestualizzare ogni mutamento inerente ai social media in una cosiddetta visione d’insieme, in una sorta di percorso evolutivo, e quando penso alla trasformazione di facebook mi immagino un gruppo di persone attorno ad una lavagna con sopra disegnato lo schema stilizzato del path-to-purchase, ossia del percorso d’acquisto, e lunghe discussioni e confronti per capire come presidiare ogni singolo step attraverso le potenzialità del social networking.

Le integrazioni all’interno dell’offerta di facebook lanciate nel 2012 sono infatti mirate a dare strumenti alle aziende per raggiungere il proprio target in particolare nelle ultime fasi del percorso d’acquisto.

Exchange (FBX) ad esempio

Facebook Exchange è un modello di pubblicità basato su un sistema di offerte in tempo reale ( Real-Time Bidding), dove gli ad sono piazzati grazie ad alcune piattaforme, note come demand-side platforms (Dsp) […] In pratica si tratta di integrare la cronologia di navigazione dell’utente nel sistema di offerta pubblicitaria, come già fatto da Google e altre aziende. Un esempio? Se avete cercato un biglietto per le Hawaii su un sito di viaggio ma non lo avete comprato, allora lo stesso sito potrebbe comparire nell’ormai famigliare barra laterale proponendovi di acquistare un biglietto per Honolulu o una stanza in un hotel" [Fonte Wired.it]

è stato spiegato al mercato con lo schema qui sotto, un path-to-purchase suddiviso nelle due macrofasi Demand Generation e Demand Fulfillment

Più immediato in questa logica è il lancio delle facebook offers,

la funzione Facebook offers è il servizio di social shopping […] che consente alle aziende proprietarie di una fanpage di pubblicare offerte e sconti esclusivi per i propri fan [Fonte Ninjamarketing.it]

che strizza l’occhio ai deals e al commercio elettronico lavorando quindi sull’intenzione d’acquisto e sull’effettivo purchase.

Anche le custom Audiences

Custom audience: strumento che consente di fare il matching tra i propri fan e una propria lista proprietaria di contatti (es. Mailing list) in modo da poter creare annunci profilati ai già clienti o prospect della nostra azienda [Fonte digitalmarketinglab.it]

trovano il loro posto in questo ragionamento in quanto rendono facebook uno strumento prezioso di CRM accrescendone l’importanza nella fase di fidelizzazione e quindi di riacquisto del prodotto o del servizio.

E il Graph Search?

Che ruolo potrebbe avere all’interno del percorso d’acquisto? Quale fase influenza?

Proprio come nel mio immaginario, mi sono messa davanti ad una lavagna, ho coinvolto i miei colleghi, mi sono dotata di pennarelli colorati e ho disegnato la mia personale visione di path-to-purchase, o almeno quella che trovo più comoda per i miei ragionamenti.

Sono partita dalle fasi:

  • AWARENESS: vengo a conoscenza dell’esistenza di un prodotto/servizio
  • INTEREST: il prodotto/servizio cattura la mia attenzione. Voglio saperne di più
  • CONSIDERATION: prendo in considerazione l’idea di comprarlo . Chiedo conferme. Raccolgo stimoli
  • INTENTION TO BUY: lo comprerò
  • PURCHASE: lo compro
  • LOYALTY (RE-PURCHASE): mi piace, lo ricompro. Lo consiglio.

Successivamente ho inserito nello schema i servizi di facebook citati e il search di Google.

Coerentemente con quanto teorizzato da Google ho inserito a metà strada tra Interest e Consideration la sigla ZMOT, ossia Zero Moment of Truth.


ZMOT rappresenta la ricerca della "Verità" attraverso le informazioni disponibili in rete prima di procedere all’acquisto.

In cosa si differenzia il Graph Search di Facebook? Come dice Zuckerberg

“We can answer a set of questions that no one else can really answer. All those other services are indexing primarily public information, and stuff in Facebook isn’t out there in the world — it’s stuff that people share.”

La keyword in questo caso è ancora una volta People: persone che conosciamo, persone di cui spesso ci fidiamo per le nostre scelte. Se cerco informazioni su un film di cui ho sentito parlare e scopro tramite facebook che la mia migliore amica lo ha già visto e non le è piaciuto in un attimo ho ottenuto il dettaglio più importante tra tutti quelli che potevo trovare in rete. Forse non ho nemmeno il bisogno di proseguire con la ricerca.

E se invece di un film fosse un ristorante? O un telefono cellulare?

Il Graph Search e la cosiddetta ricerca generalista sono diverse ma potenzialmente sostituibili nel path-to-purchase. Entrambi fanno leva sulla fase di Interest e Consideration (spesso a loro volta sovrapponibili per acquisti non complessi): il primo sulla sfera più razionale, l’altro su quella più istintiva ed emozionale.

In entrambi i casi quindi possiamo parlare di ZMOT: con il Graph Search la ricerca del TRUTH, della verità, fa posto al Power of TRUST, alla fiducia che abbiamo non tanto nel nostro network, ma nella conoscenza delle persone che ne fanno parte.

Sarà interessante osservare nel tempo come il Graph Search impatterà nelle decisioni di un’azienda e come influirà sugli investimenti pubblicitari.

Come direbbe mia mamma “Watch this space”.

[Grazie a Mattia e a Stefano per avermi accompagnato in questo percorso e per avermi aiutato a dar vita a questo post]

Come aumentare il numero di fan? Chiedi a S.A.M. (Social Assets Map)

Prima di partire per le tanto attese vacanze estive ho letto un articolo di Vincenzo Cosenza su CheFuturo dal titolo “5 indizi per capire se la tua azienda sbaglia tutto sui social media”, dove in terza posizione troviamo “il successo legato al numero dei fan/follower”:

Ci sono due tipi di aziende che sbagliano l’approccio alla misurazione: quelle che preferiscono non misurare i risultati delle proprie attività sui social media e quelle che lo fanno considerando le metriche sbagliate. Le prime pensano che sia inutile qualsiasi tipo di analisi scientifica perché l’importante è esserci dato che ci sono anche i concorrenti. Le seconde, pensando di essere più sveglie, applicano le logiche di misurazione dei mass media a spazi relazionali. […] Quante volte avete sentito parlare di obiettivi di questo tipo “entro l’anno dobbiamo superare il milione di fan” […] Sarebbe più opportuno ragionare in termini di engagement ossia di reale coinvolgimento. Ad esempio quanti e quali, tra fan e follower, considerano talmente interessanti le attività messe in campo da rilanciarle o scriverne? E inoltre qual è il giudizio che ne danno?

Ovviamente non posso che essere d’accordo con il punto di vista di Vincos, la corsa ai fan fine a se stessa è un approccio sbagliato verso i social media e un investimento economico, seppur efficace, decisamente poco efficiente.

Allo stesso tempo non condivido l’atteggiamento di condanna che molti hanno nei confronti di questo kpi quantitativo senza motivarne le ragioni, incapaci di spiegare che per molte aziende la costruzione di una fanbase numerosa rappresenta il primo step di quello che potremmo definire un path-to-engagement o più in generale di creazione di una community. Banalmente parlando credo che in pochi consiglierebbero di creare una pagina senza spingerla con un minimo investimento in facebook ads, scelta contestabile nel caso in cui questa sia l’unica azione proposta.

A mio avviso la domanda “Come posso aumentare il numero dei miei fan?” può avere una risposta sanzionatoria (“stai sbagliando a farmi la domanda”), tattica (“dammi tot mila euro per tot mila fan”) oppure strategica per il brand e costruttiva per il potenziale rapporto di fiducia tra i due interlocutori. Personalmente in questi casi colgo la palla al balzo per mettere giù le basi del ragionamento che può sottendere a questa domanda:

  • I fan non sono interazioni con un link ma sono le stesse persone che puoi trovare al supermercato a comprare il tuo prodotto o a parlare del tuo disservizio mentre bevono il caffè con le amiche (a meno che non siano BOT ma questo è un altro discorso)
  • facebook non è uno spazio chiuso, molti dei contenuti visibili al suo interno sono frutto di un’azione che è accaduta in un ambiente esterno e diversi siti internet consentono di fruire di una navigazione e di risultati di ricerca personalizzati grazie all’utilizzo del proprio account
  • la pagina facebook è oggi un owned media (o “rented”?) a disposizione dell’azienda verso il quale ha senso spingere traffico e a cui dare visibilità all’interno delle proprie attività di comunicazione e non solo

Per semplificare l’esposizione di questi concetti ho creato una mappa di posizionamento degli asset che un’azienda dispone per costruire la propria community all’interno di un social network come facebook e l’ho chiamata S.A.M. (Social Assets Map).

Gli assi che ho utilizzato sono: pubblicitari vs non pubblicitari e all’interno di facebook vs fuori dal social network.

All’interno dei quadranti ho quindi inserito

  • adv + facebook : facebook advertising
  • not adv + facebook: pagina facebook e apps
  • adv + not facebook: tutti gli altri media online e offline come televisione, stampa quotidiana e periodica, radio, online display advertising, cinema, etc. 
  • not adv + not facebook: owned media a disposizione dell’azienda, dal sito internet al flagship store, dal packaging di prodotto al sacchetto della spesa.

(grazie a Laura per la grafica)

Ovviamente la mappa non ha la pretesa di essere esaustiva ma di cogliere l’opportunità da una domanda apparentemente sbagliata di dare una visione più completa del ventaglio di possibilità che i social media offrono.

La stessa mappa può essere chiaramente personalizzata utilizzando Twitter come social network – soprattutto con il crescente ingresso di player italiani nel mercato dei promoted – o in generale a tutti i social media.

Cosa ne pensate? Voi come la usereste? Come la arricchireste?

Storytelling al profumo di cioccolato

Ieri mattina mi sono svegliata ad Alba e quando sono scesa in strada sono stata accolta da un forte profumo di cioccolato. Me lo avevano raccontato ma viverlo nelle mie narici è stata un'esperienza diversa: ho chiuso gli occhi e mi sono sentita come uno dei bambini a spasso nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. 

Il biglietto dorato me lo ha dato l'Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero invitandomi come relatore al convegno "Web e territorio. Le opportunità della rete per il turismo in Piemonte". 

Il mio intervento ha avuto come filo conduttore le tecniche di storytelling come strumento di comunicazione dalle origini a oggi e le motivazioni che stanno dietro al rinnovato bisogno di coinvolgere le persone con la narrazione piuttosto che colpirle come target con un messaggio lungo 30 secondi a ripetizione.

In particolare mi sono soffermata sulle opportunità per il turismo dove ritengo ci sia ancora molta descrizione e poca narrazione e su come i diversi social media stanno abbracciando la rinascita di questa disciplina vedi il Diario di Facebook, le Storie di Twitter, l'evoluzione di Google + e i nuovi strumenti di content curation come Storify.  

Dal Carosello a Facebook Diario: torniamo a raccontarci in rete

Una bellissima esperienza in una regione da scoprire.

Devo ricordarmi di tornarci quando tostano le nocciole.

 

Alcuni link di approfondimento

 

Social Media: Earned, Owned e Bought Media

Più di anno fa ho scritto un post sulla differenza tra Owned, Bought e Earned Media. Il post è diventato il capitolo di un ebook. L’ebook è stato letto, commentato, citato, utilizzato nelle bibliografie delle tesi e di qualche corso universitario (sì, sono cose che fanno tanto piacere).

È da un po’ che non vi “spammo” e vorrei cogliere questa occasione per ringraziare tutti quelli che lo hanno letto, che lo hanno scaricato recentemente (in questo momento 3818 download) e quelli che lo segnalano agli altri.

L’occasione in questione è che a distanza di un anno tuttavia sento l'esigenza di correggere o meglio di integrare quello che ho scritto scrivendo un breve post (e non un nuovo ebook 😉 ) su quella che considero l’evoluzione di questa classificazione.

La distinzione dei media in owned, bought e earned media è nata per cercare di dare un ruolo ai social media all’interno di una strategia di comunicazione. Quella che sembrava, infatti, un tipo di visibilità ottenibile gratuitamente all’interno di siti ad altissimo traffico e tempo speso si è rivelata presto un mito da sfatare e un fenomeno da razionalizzare, sviscerare e comprendere.

I tanto bramati effetti “buzz”, “viral”, “ugc” non erano in realtà automatismi della rete ma conseguenze più o meno spontanee di azioni, iniziative, contenuti in grado di suscitare l’interesse del pubblico siano essi di pubblica utilità o di puro intrattenimento.

Quella visibilità non era quindi semplicemente gratuita bensì guadagnata, in inglese “earned”.

La classificazione tra owned, bought e earned media è stata tuttavia da molti utilizzata in maniera impropria nel tentativo di "assegnare" le varie tipologie di siti ad ognuna di queste categorie e dimenticando invece le motivazioni per le quali è stata creata.

Secondo questa catalogazione i bought media sono i siti dove è possibile acquistare spazi pubblicitari e quindi siti come portali e i motori di ricerca, gli owned media sono i siti di prodotto e i siti istituzionali ossia i siti gestiti direttamente dalle aziende e gli earned media sono i social media, blog, siti di video e photo sharing e compagnia bella.

Questa classificazione non è sbagliata ma è incompleta. Oggi pensare ai social media unicamente come un mezzo per generare earned media è limitante e può provocare disillusioni e disattese nei confronti delle sue potenzialità.

Diverse aziende utilizzano i social media anche come owned media, creando al loro interno pagine e profili con contenuti ad hoc, e come bought media, sfruttando le opportunità di pianificazione pubblicitaria offerte dai main player come YouTube e Facebook.

I SOCIAL MEDIA COME OWNED MEDIA

Se senti qualcuno chiedere “Lo troverò su Facebook?” è possibile che stia facendo riferimento non solo all’ex compagno delle elementari o al biondino conosciuto in vacanza ma anche ad un nuovo cosmetico

ad un nuovo modello di cellulare

o al nuovo catalogo Ikea

Spesso lo sviluppo di un nuovo sito di prodotto è affiancato alla creazione di contenuti ad hoc per la pagina Facebook o a video per il canale su YouTube.

Per il lancio di Toy Story 3 ad esempio, Disney non ha solo aggiornato il sito ufficiale disney.com ma ha creato una pagina ufficiale su Facebook, pagine per i singoli personaggi della storia

e contenuti video inediti pubblicati sia su Facebook sia su YouTube

(l'intervista a Ken è uno dei miei preferiti :-))

Visto il successo riscontrato in termini di partecipazione da parte degli utenti, Disney sta iniziando ad utilizzare Facebook anche come strumento di “social commerce":

Disney has created a new Facebook app that will let users buy tickets to see Toy Story 3 right on the site, while also inviting their friends along. The application is called Disney Tickets Together and is a brilliant example of social media synergy. The app, which works in partnership with ticket-buying websites like Fandango.com, lets users pre-order tickets for the show and then invite others to join them. Users can also post what showing they are going to on their Facebook news feed. This is the type of campaign that is a perfect fit for social media. Not only does the ability to buy tickets without leaving Facebook make impulse ticket buys more likely, but the social aspect makes group planning that much easier. The nice thing about the Facebook app is that you can view what types of theaters are showing the film in your area (meaning 3D, stadium seating, IMAX 3D, etc.) and you can also invite along non-Facebook friends by entering in their e-mail address


Alcune conseguenze legate alla scelta di utilizzare i social media come owned media sono una maggiore visibiiltà nei motori di ricerca dove sempre più di frequente accanto agli owned sites sono presenti i risultati "branded" di YouTube, di Facebook, di Twitter e chi più ne ha più ne metta

e l'utilizzo degli account "social" nei media offline in aggiunta o in sostituzione al sito ufficiale.


 

I SOCIAL MEDIA COME BOUGHT MEDIA

Le opportunità di pianificazione offerte dai player come YouTube e Facebook possono essere raggruppate in due macrocategorie: quelle che abbracciano le metriche consolidate del media (impression, click, etc) e quelle che sfruttano le caratteristiche intrinseche del mezzo come nel caso degli engagement ads di Facebook (di cui avevo parlato anche qui quasi due anni fa), che fanno leva sulle dinamiche social del passaparola e delle raccomandazioni, e i promoted video di YouTube che, in quanto secondo sito di ricerca, traduce le logiche dei risultati sponsorizzati di Google in chiave video.

Anche Twitter in primavera ha annunciato ed iniziato a testare i promoted tweets; ancora una volta vi riporto il caso di Toy Story 3


In conclusione credo che ragionare in logica di owned, bought e earned media sia utile per capire il ruolo da dare ai diversi mezzi di comunicazione, siano essi online o offline, l'importante è non considerarla una mera classificazione ma piuttosto un approccio all'analisi strategica.

L’applicazione Wired per iPad: Design e Details. What else?

Ieri ho partecipato all’evento di presentazione dell’applicazione Wired, US ovviamente, per iPad.

Il tema della serata "We(b) love Magazine" era la necessità e la capacità di Wired di tradurre un prodotto cartaceo, già di per sè innovativo nel design, in un prodotto digitale fruibile non solo su iPad ma in generale sui diversi tablet in commercio, sui telefoni cellulari e su tutti i PC (a differenza degli altri editori che si stanno concentrando esclusivamente sulla nuova creatura di casa Apple).

Dopo l’introduzione di Riccardo Luna relativa al primo anno di vita di Wired Italia la parola è passata a Scott Dadich e Jeremy Clark che hanno parlato del processo di trasformazione della rivista in App con una dimostrazione live delle caratteristiche del primo numero.

I due interlocutori hanno sottolineato la necessità di tenere in considerazione due aspetti nel momento in cui hanno dovuto affrontare questa sfida:

Design matters.

Details matters.

Design e Details, traducibile in maniera molto grossolana in Grafica e Contenuti, sono stati a mio avviso ben reinterpretati nell’applicazione considerando gli spazi di manovra e gli ovvi limiti con cui si sono dovuti confrontare.

Certo, si può fare molto, ma molto di più. Purtroppo non è stata prevista, o è dovuta saltare per motivi di tempo, la sessione di questions da parte del pubblico altrimenti avrei lanciato la mia mano in aria e avrei dovuto scegliere tra uno di questi temi per formulare la mia domanda:

  1. Functions
  2. Web Integration
  3. Advertising

FUNCTIONS

Per quanto riguarda le funzionalità sarei curiosa di capire se nelle evoluzioni previste o ipotizzate verranno implementati tools di bookmark e tagging, non necessariamente "social" ma "personal", una sorta di traduzione digitale dell’orecchietta che si fa alle pagine delle riviste. Mi immagino la possibilità di creare una sorta di numero personalizzato di Wired da aggiornare continuamente con i contenuti preferiti delle diverse uscite.

Sempre in merito al primo tema mi sono chiesta se e come pensano di introdurre servizi di share dei contenuti. L’app è a pagamento quindi non mi riferisco alla condivisione dell’intero numero ma di parti dello stesso, in particolare quelli creati ad hoc per la versione digitalizzata. Se da una parte si offre un servizio all’utente, dall’altra è comunque un modo per promuovere e dare visibilità alle innovazioni introdotte dall’applicazione rispetto alla versione cartacea e far crescere il desiderio di mettere le mani o meglio le dita sulla rivista formato app.

A questo proposito ho notato oggi alcuni commenti all’applicazione su iTunes tra cui questo

Digitally crippled! A mere PDF with videos 🙁 No sharing! No bookmarking! No previous button! No copy/paste! No special layout for touch screens! No pinching or zooming!

segno del fatto che probabilmente molti altri si stanno chiedendo se "è tutto qui" o se le future evoluzioni dell’app comprenderanno funzionalità aggiuntive e non solo "design" e "details".

WEB INTEGRATION

Durante la demo non ho visto nessun tipo di rimando al sito di Wired. Dato per assunto che i due prodotti hanno una vita editoriale propria non escluderei la possibilità di creare un ponte tra i due all’interno dell’applicazione colmando tra l’altro l’assenza di alcune funzionalità come quelle descritte sopra e quindi un possibile percepito lacunoso nei confronti dell’app.

La notizia interessante comunicata ieri da Riccardo Luna è che in autunno uscirà una nuova versione del sito, e più precisamente la deadline è l’8 ottobre, giorno della consegna del Nobel per la pace a cui è candidato anche Internet.

ADVERTISING

Come stanno ripensando le creatività stampa nel passaggio da carta a app?

Probabilmente questa sarebbe stata la domanda che avrei scelto ieri perchè credo quella di maggior interesse non solo per me ma per il pubblico presente (l’evento era principalmente rivolto alla media community da quello che mi è parso di capire).

Personalmente ho tantissima aspettativa nei confronti di questo tema ed in particolare nei confronti di Condé Nast, che sta puntando molto sulla sua anima creativa, e di Wired che si è distinta per approcci innovativi nell’uso della rivista come strumento di comunicazione pubblicitaria (in particolare mi viene in mente l’advertising "tematico" presente nel numero dedicato allo sbarco sulla Luna ).

In conclusione posso dire di non aver provato personalmente l’applicazione quindi evito toni entusiastici o critici e li rimando al post-test! Se c’è qualcuno che l’ha provata mi farebbe piacere sapere quali sono state le sensazioni, le impressioni e le riflessioni sul futuro di questo prodotto. Nel frattempo aspetteremo l’uscita della versione italiana prevista per dopo l’estate.

Farmville: Gaming, Target, Business, Advertising

Puoi amarlo o odiarlo ma difficilmente si può ignorare un fenomeno come quello di Farmville, il social game con oltre 80 milioni di active users mensili che allo stato attuale è sia l’applicazione Facebook di maggiore successo sia il gioco più diffuso al mondo.

Inevitabilmente Farmville è entrato sia nella mia vita personale sia in quella professionale.

Per quanto riguarda la prima, contrariamente a quanto si possa pensare, non direttamente, ossia non giocando, non raccogliendo le patate, non andando alla ricerca di neighbours per "espandere" la farm, bensì cercandoli per mia madre.

Sì, avete capito bene.

Notare la mia farm (creata appositamente per questo screenshot) e la sua.

Grazie a lei mi sono fatta una cultura sulle dinamiche di gioco e soprattutto sulle leve che lo hanno portato ad essere così diffuso. Le spiega in maniera molto semplice Federico Fasce in una recente presentazione dedicata al gioco come elemento di innovazione nella comunicazione aziendale.

Da un punto di vista professionale Farmville è un fenomeno decisamente affascinante per molti aspetti: gaming, target, modello di business, strumento di comunicazione e advertising. A questo proposito ho pensato di condividere su Slideshare un powerpoint in cui ho raccolto alcuni key facts a mio avviso interessanti relativi a questo fenomeno.

 

Valorizzare il product placement: il caso Alfa MiTo Nine

Quando un anno fa vi ho parlato per la prima volta di quelli che secondo me sono i principali trend della comunicazione ho iniziato con l’evoluzione del brand spiegando che se da una parte lo stesso non è più relativo unicamente a prodotti e servizi dall’altra è spesso soggetto ad esperimenti di ibridazione volti a creare nuovi universi valoriali accostando due brand apparentemente molto diversi ma che in realtà possono avere in comune il target, la brand equity, codici di comunicazione, etc.

I casi che ho segnalato provengono dal mondo dell’automotive: Citroën C1 Deejay, Renault Modus Grazia e Nissan Eco Micra RDS sono modelli nati dall’accordo tra un product brand e un media brand.

Nel 2009 questo trend è stato cavalcato da Fiat e dalla sua 500 con il lancio di due modelli davvero notevoli

Fiat 500 Diesel

la 500 by DIESEL è una variazione sul tema 500, ideata per conquistare gli amanti della moda, tendenzialmente giovani, interessati ad un allestimento dell’auto ancora più ricercato e per certi versi eccentrico. A cominciare dal colore della carrozzeria, “verde DIESEL” come la livrea dell’elicottero personale di Renzo Rosso. E poi ci sono degli speciali cerchi in lega da 16 pollici caratterizzati dal logo DIESEL e che lasciano vedere tra le razze le pinze dei freni verniciate di giallo […] 

e Fiat 500 Barbie

La Fiat 500 Barbie è caratterizzata da una serie di dettagli che richiamano in maniera esplicita il personaggio Mattel e il suo mondo; a partire dalla vernice scelta per la carrozzeria, un rosa laccato che ricorda le vernici da manicure, agli interni rosa-crema con numerosi particolari “Glitterati” che impreziosiscono gli esterni e l’abitacolo, come i sedili rifiniti col lamine argentate o i tappeti con vera seta naturale.

Il 2010 invece si apre con Alfa MiTo Nine, la nuova versione speciale della MiTo che Alfa Romeo ha presentato in concomitanza con l’uscita nelle principali sale cinematografiche italiane del film ”Nine”, diretto da Rob Marshall e che vede tra i protagonisti Daniel Day-Lewis, Nicole Kidman, Penelope Cruz e Sophia Loren.

A un prezzo di listino di 1.400 euro (IVA inclusa), il Pack "Nine" prevede cerchi da 16” Elegante, tetto verniciato nero e trattamento satinato per maniglie, calotte degli specchi e cornici dei fari. Invece, nel caso dell’allestimento Distinctive e ad un prezzo di 1.700 euro (IVA inclusa), il Pack "Nine" offre cerchi da 17” Elegante, sedili in pelle, regolazione lombare del sedile del passeggero anteriore, tetto verniciato nero e trattamento satinato per maniglie, calotte degli specchi e cornici dei fari. 100119_AR_MiToNine_02.jpg E perché la versione speciale "Nine"? Alfa Romeo celebra un importante "product placement": per la pellicola americana, ambientata in gran parte in Italia, è stata "scritturata" una splendida Alfa Romeo Giulietta Spider del 1955 [fonte blogosfere.it]

Da diversi anni il settore automotive si lega al cinema per le sue attività di comunicazione, non esclusivamente di product placement, pensiamo ad esempio alla partnership tra la nuova Peugeot 5008 e L’era glaciale, tra la Mazda CX-7 e Avatar, e tra Mercedes e Sex & the city, collaborazione confermata anche per l’uscita del secondo capitolo della trilogia cinematografica; è la prima volta, invece, che noto il nome di un film sulla carrozzeria e sul listino prezzi di una vettura e non solo come tema di comunicazione di una campagna pubblicitaria.

Vorrei quindi condividere alcune considerazioni:

  • Ogni attività di comunicazione può diventare a sua volta contenuto di comunicazione: l’attività di product placement in questo caso diventa il tema centrale dello spot televisivo e del minisito dedicato al prodotto.
  • Internet è il mezzo ideale per la valorizzazione di un’attività di comunicazione nel momento in cui non solo viene utilizzato per darle ulteriore visibilità rispetto ai mezzi offline ma per veicolarla come un vero e proprio contenuto. Pensiamo ad esempio alle opportunità che offre una sponsorizzazione come ad esempio ha fatto Peroni, sponsor ufficiale della nazionale italiana di rugby, creando il sito internet tuttorugby.it.
  • Tuttorugby.it

  • Sempre di più la comunicazione richiede il coinvolgimento dell’area di product management e di innovation in modo che sia il prodotto in primis ad abbracciare i temi e i valori trasmessi: dal packaging alla carrozzeria. A questo proposito un esempio calzante è il caso delle patatine Walkers con l’iniziativa “Do us a flavour” di cui vi ho parlato l’anno scorso.
  • Walkers VOTE FOR ME

 

La crisi come opportunità di comunicazione: il retail

Nel precedente post ho parlato di come la crisi economica possa essere vissuta non solo come una minaccia ma anche come un’opportunità, in particolare per la comunicazione.

Avevo citato casi di aziende come Coca Cola e Kellogg’s che hanno dato vita ad iniziative pubblicitarie legate alla crisi, in maniera diretta o indiretta, con il rischio di non essere gradite dai consumatori (mi riferisco in particolare al caso "Spot Coca Cola : Giulia e la crisi").

Avevo anche scritto che a mio avviso le aziende che hanno colto maggiormente questa opportunità sono quelle operanti nel retail che possono in questo contesto di crisi economica far leva su due aspetti ovviamente rilevanti per la categoria: la vicinanza al consumatore e la convenienza.

Durante il mio soggiorno londinese ho potuto notare e anche approfittare di alcune iniziative di catene molto note in UK.

TESCO "CHEAPER ALTERNATIVES"

Tesco ha creato all’interno del suo sito un’area dedicata alla ricerca di "alternative più economiche".

Basta navigare all’interno dello store online e cliccare, dove presente, sul link See Cheaper Alternatives! per visualizzare lo stesso prodotto di un brand diverso (generalmente la private label di Tesco) ad un costo inferiore e aggiungerlo nel carrello (seguono screenshot dalla demo in flash presente sul sito).

Questa iniziativa è stata promossa su diversi media tra cui una campagna banner "interattiva": passando sopra ai prodotti era possibile visualizzare la "cheaper alternative" di ciascuno e alla fine conoscere il totale di pounds risparmiati scegliendo le alternative più convenienti proposte da Tesco.

Le Cheaper Alternatives sono state anche inserite all’interno dei 6 consigli di Tesco per risparmiare quando si fa la spesa.

 A quanto pare queste iniziative hanno premiato Tesco che ha chiuso il 2008 con un +15.1% sulle vendite.

MARKS & SPENCER "DINE IN FOR £10"

Marks & Spencer con una certa periodicità lancia la promozione "Dine in for £10" dove con dieci sterline è possibile acquistare 

A MAIN MEAL

SIDE DISH

DESSERT

+

A BOTTLE OF WINE

per due persone tutto a dieci sterline.

Vi assicuro che come offerta è assolutamente conveniente e apprezzata da molti consumatori, sia considerando i prezzi del food in UK, sia considerando la catena che non ha mai puntato sul low cost. A questo proposito mi sento di dire che l’iniziativa è anche molto coerente con i valori del brand che non vuole svalorizzare la sua immagine di qualità puntando esclusivamente sulla leva prezzo ma che preferisce piuttosto parlare di una scelta efficiente, qualità e convenienza insieme.

SAINSBURY’S "FEED YOUR FAMILY FOR A FIVER"

Sainsbury’s ha lanciato la campagna "Feed your family for a fiver" ossia "dai da mangiare alla tua famiglia con cinque sterline" (fiver è una tipica espressione inglese che si potrebbe tradurre nel nostro "cinquino" o ai tempi della lira lo "scudo" che a quanto pare non si usa più da quando siamo passati all’euro).

Qui potete vedere il recente spot tv con il testimonial Jamie Oliver, noto chef inglese.

L’iniziativa è in questo momento anche oggetto di discussione nella community del sito di Sainsbury’s.

E IN ITALIA?

Anche in Italia alcuni retailer hanno unito all’interno delle campagne di comunicazione i due aspetti di vicinanza al consumatore e convenienza.

Ne sono un esempio la campagna di Coop "Come sarà il 2009?", in cui è chiaro il riferimento al periodo di crisi economica ma senza esplicitarlo come nel caso di Coca Cola,

Lidl che dopo aver sostituito le offertone della settimana con lo spot "Ogni giorno è speso bene" (dove si tenta di adottare dei codici di comunicazione più emozionali legati all’immagine della nuova famiglia italiana)

ha deciso poi di integrare nello spot entrambi questi due aspetti: spot "emozionale" + offerta della settimana.

Direi di fermarmi qui, sicuramente ci sono altri esempi di comunicazione molto interessanti nel comparto del retail nati in risposta al periodo di crisi economica, ne volete segnalare qualcuno?

Cosa ne pensate di quelli che ho citato? 

 

La crisi come opportunità di comunicazione

PREMESSA

Un paio di settimane Quasi un mese fa ho partecipato al Materacamp e come ho già detto su Friendfeed è stata un’esperienza indimenticabile sia per il luogo, sia per le persone, sia per il contesto, ossia la formula del barcamp.

Come molti di voi sanno i barcamp sono eventi organizzati da volontari e realizzabili grazie al contributo di sponsor pubblici e privati in cui non esiste un’agenda prefissata con relatori ed interventi, ognuno può decidere di fare uno speech: è sufficiente arrivare presto la mattina e attaccare un post-it con il proprio nome e il titolo dell’intervento sulla board vuota con gli slot orari disponibili.

Gli interventi dovrebbero essere inerenti il tema del barcamp che in alcuni casi è definito dalla natura stessa dell’evento (ad es. il Parmaworkcamp era dedicato ai rapporti fra il mondo del lavoro e il web, mentre al Wordcamp a Milano sabato scorso il tema era la piattaforma di blogging WordPress) o è indicato nel wiki. Il tema del Materacamp 2009 era come il web e la tecnologia possono aiutare l’economia a sconfiggere la crisi”, un argomento molto interessante di cui purtroppo non ho sentito interventi (va detto che sabato sono arrivata dopo pranzo quindi ho perso tutta la mattinata).

Qualcuno potrà dirmi: perchè non hai fatto un intervento tu? Avrei voluto ma mi sono ridotta all’ultima settimana e purtroppo non ho avuto il tempo di prepararlo. Ma il bello di internet e dei social media in particolare è la possibilità di prolungare “gli effetti” di un evento e quindi ve ne parlerò qui.

Il titolo del mio intervento sarebbe stato: La crisi come opportunità di comunicazione.

Non tutti i mali vengono per nuocere, anche la crisi economica.

In un momento in cui la maggior parte delle aziende vedono la crisi come una forte minaccia alla propria sopravvivenza altre cercano di sfruttarne gli aspetti positivi, un po’ come farebbe Pollyanna con il gioco della felicità (“The Glad Game”).

Ma cosa ci può essere di positivo nella crisi e perchè alcune aziende investono in comunicazione nonostante il periodo sfavorevole?

L’investimento pubblicitario è uno degli indici di “salute” di un’azienda.

Se un’azienda anche in periodi di crisi continua a pubblicizzare i suoi prodotti, viene percepita come solida e quindi in grado di mantenere uno standard di qualità verso i suoi clienti/consumatori. Questo è il punto di vista di Svetlana Gladkova che individua delle analogie tra questa crisi e quella degli Anni 30, la Great Depression, in cui le aziende che sono sopravvissute non sono quelle che hanno tagliato i costi di comunicazione ma quelle che hanno continuato a pubblicizzare i propri prodotti e a convincere i consumatori a sceglierli rispetto a quelli dei concorrenti che avevano smesso di “parlare” (under-advertised).

Il silenzio spaventa.

Nei periodi di recessione si respira ovviamente molta tensione: gli impiegati hanno paura di essere licenziati da un momento all’altro, i fornitori di non essere pagati, i consumatori di vedere un abbassamento nella qualità dei prodotti, gli azionisti di assistere al crollo delle quotazioni etc. e stare in silenzio non può che peggiorare la situazione. Comunicare in maniera diretta a ciascun target può da una parte rassicurarli nel caso in cui l’allarmismo non sia motivato dall’altra dà comunque un’immagine positiva all’azienda di trasparenza e di interesse nei confronti del sentiment dei propri pubblici di riferimento (per approfondire questo aspetto vi consiglio l’articolo "10 Ways to weather the storm").

Nel silenzio la tua voce si sente di più.

Se i tuoi competitor hanno deciso di tagliare gli investimenti in comunicazione non è detto che tu debba fare lo stesso. Se normalmente è difficile riuscire a farsi notare e sentire da parte dei propri clienti, il "silenzio" che si genera in tempi di crisi può diventare un vantaggio competitivo.

La crisi può diventare un leva di comunicazione pubblicitaria.

Alcune grandi aziende hanno dato vita a campagne incentrate sulla crisi come tema di comunicazione.

COCA COLA

"La Felicità a tavola"

In questo caso la crisi è un tema che entra a far parte della comunicazione stessa.

KELLOGG’S UK

In questo esempio invece Kellogg’s affronta il periodo di crisi con una comunicazione incentrata sull’acquisto efficiente: qualità e prezzo insieme.

100 Years of Kellogg's Corn Flakes, all for 10p a Bowl

Chi ha saputo a mio avviso trarre maggior vantaggio da questa opportunità sono tuttavia le aziende del retail, ma preferisco dedicare a questo fenomeno un post dedicato.

E un’opportunità per sperimentare l’utilizzo di nuovi media.

La necessaria riduzione dei budget di comunicazione in alcune aziende può essere vissuta come un’opportunità per sperimentare mezzi più efficienti e affini al proprio target e anche nelle aziende più restie ci si interroga su quale ruolo dare a internet nella propria strategia di comunicazione ma soprattutto di marketing.

Un esempio arriva dalla Russia dove Procter & Gamble che ha deciso di aumentare del 20% i propri investimenti pubblicitari online nel 2009

The official reason is simple and straightforward: Procter & Gamble believes they will be able to achieve similar or comparable results targeting online viewers but the expenses will be lower which is very important during the current global financial crisis. 

Per concludere non voglio dire che sto trattando il tema della crisi con superficialità e con il piglio egoista del comunicatore ma con cercare di affontarla con propositività e un pizzico di furbizia.

Cosa ne pensate?

 

AGGIORNAMENTO 30 MAGGIO 2009

Incorporo la conversazione generata su Friendfeed grazie al post-commento di Suzukimaruti

 

Banner verso la socialità: gli “Engagement Ads” di Facebook

Uno dei post piu’ interessanti che ho letto in questo ultimo periodo e’ la teoria del banner sociale. Credo di aver gia’ fatto mille complimenti a gianluca per averlo scritto ma non credo che 1000+1 facciano molta differenza.

Come spesso succede i post migliori sono quelli accompagnati da un altrettanto stimolante confronto nei commenti e nelle reazioni scatenate nella blogosfera. In sintesi la premessa del post e’ che nonostante internet sia in continua evoluzione c’e’ un particolare elemento del web che non ha subito particolari variazioni con il tempo ed e’ appunto il banner.

Tutti parlano di sharing, la parola “social” spunta da ogni dove, tranne che nell’adv online, il banner in sostanza non ha nessuna caratteristica intrinseca della “socialita’ digitale”: non ha un permalink che consenta di condividerlo in Facebook o su Twitter, o un feed salvabile nei preferiti, in del.icio.us o nel mio Google Notebook; non ti mette in contatto con gli altri che lo hanno cliccato e che evidentemente lo hanno ritenuto interessante, non vuole essere commentato e nemmeno “marcato” positivamente (nessun bottone “like” o stellina per segnalarne il gradimento)

Grazie ai commenti e’ stato tuttavia possibile individuare i primi segnali di socialita’ nell’adv online:

L’idea di Avanoo e’ molto semplice: display ads for charity. L’utente clicca sul banner dello sponsor e viene reindirizzato ad una pagina dove e’ possibile avere informazioni sull’associazione no profit che lo sponsor sostiene e che lo stesso utente ha contribuito in minima parte a supportare grazie a quel click. Praticamente Avanoo ha ripreso l’idea di diverse iniziative noprofit tra le quali ad esempio the hunger site e the breast cancer site ma l’ha "esternalizzata".

La mia perplessita’ tuttavia e’ questa: quanto e’ efficace per lo sponsor quel click visto che nel 99% dei casi sara’ legato a motivazioni non riconducibili al suo brand e/o a suoi prodotti? L’iniziativa in se’ e’ ovviamente positiva, un altro modo per supportare le associazioni no profit non e’ mai un male anzi, ma da un punto di vista markettaro non mi viene in mente un motivo valido per cui proporre un’attivita’ di comunicazione di questo tipo. Se un’azienda decide di supportare un’associazione noprofit ha sicuramente a disposizione modalita’ molto piu’ stimolanti e coerenti vero Paolo?)

(In ogni caso, ad esclusione dell’articolo linkato, non ne ho sentito parlare, quindi non escludo che non sia stato un gran successo).

Spongecell invece ha sostituito il classico banner con un mini-event planning widget, ossia un widget al cui interno e’ presente l’invito ad un evento che e’ possibile aggiungere direttamente a diversi calendari online e nella sezione eventi del proprio profilo su Facebook o inoltrare ad un amico. All’interno della galleria del loro sito sono presenti diversi esempi.

Spongecell Rich Media Ads - Gallery

Un’idea semplice, utile, focalizzata ma anche facilmente replicabile.

Arriviamo infine a chi sta facendo la parte del leone in questa evoluzione del banner verso una maggiore "socialita’": Facebook con i suoi Engagement Ads. Il famoso social network ha deciso di integrare la propria offerta pubblicitaria con tre nuove proposte:

1) Comment Style Ad: Gli utenti possono commentare all’interno dello spazio pubblicitario, ad esempio possono lasciare commenti ad un trailer cinematografico . L’adozione di questo formato e’ consigliato ai Brand di entertainment e ai brand che vogliono lanciare nuovi prodotti. Il commento dell’utente sara’ visibile nel newsfeed dei suoi amici, garantendone quindi la visibilita’.

2) Virtual Gifts Style Ad: I brand possono mettere a disposizione degli utenti dei regali virtuali che gli stessi possono donare ai loro amici. Avevo gia’ notato questa modalita’ di advertisement per il lancio del film sex & city. Ho provato a guardare la scelta dei regali gratuiti al momento disponibili e non c’e’ un granche’.

Da una parte il sistema potrebbe funzionare, mi ricorda molto il concetto dei pacchetti sponsorizzati di windows live messenger, ma credo che avrebbe comunque vita breve in quanto, al contrario di messenger, ogni giorno su Facebook nascono nuove applicazioni che possono attrarre l’attenzione degli utenti.

3) Fan Style Ad: Come gia’ succede gli utenti hanno la possibilita’ di dichiarare il loro amore per un brand o per un prodotto diventandone pubblicamente fan.

Jeremiah Owyang ha scritto un post decisamente esaustivo sull’argomento facendo anche chiarezza su come e’ strutturata l’intera offerta pubblicitaria di Facebook e sul perche’ l’adv "tradizionale" su Facebook non funziona. Per quanto mi riguarda mi ero soffermata anch’io recentemente sul tema dell’inefficacia dell’advertising nei social network

Se sono all’interno di un social network difficilmente cliccherò su un banner/messaggio pubblicitario che mi porterà in un altro sito allontanandomi dal luogo virtuale in cui mi ritrovo, è come se fossi in un pub e per provare una birra diversa da quella che bevo solitamente dovessi uscire e recarmi in una nuova discoteca, magari bellissima ma dove non conosco nessuno e non mi sento altrettanto a mio agio: non sarebbe meglio farmela bere nel mio solito amato pub insieme ai miei amici?

Gli engagement ads cercano di superare questi limiti creando spazi per i brand negli stessi contesti familiari agli utenti che non sono costretti ad abbandonare il social network per piombare in un minisito sconosciuto.

Ho provato a rifletterci un po’ per capire se questa evoluzione puo’ avere successo, potra’ diventare la killer application del mercato pubblicitario o meno e per il momento sono scettica perche’ a mio avviso bisogna necessariamente fare un passetto in piu’ e soffermarsi sulla motivazione che lega gli utenti a quel determinato social network.

Riprendiamo l’esempio del pub: finalmente il brand della situazione (alias il responsabile della comunicazione o simili) ha capito che per dialogare con il suo consumatore non deve cercare di portarlo nella sua straordinaria discoteca a tutti i costi ma e’ meglio provare ad approcciarlo li’ nell’ambiente in cui si trova piu’ a suo agio, dove ci sono i suoi amici. E ora? Come inizia la conversazione? Ha qualcosa di effettivamente interessante da dire? Come puo’ catturare l’attenzione? Piacera’ ai suoi amici? Quest’ultima domanda in particolare diventa a mio avviso una leva estremamente importante per i brand in questi contesti: perche’ non creare strumenti che sfruttino davvero il lato "social" di questi network?

Prendiamo ad esempio l’uscita di un nuovo film (in questo momento mi viene in mente Kung Fu Panda visto il numero di messaggi e di fans che ho visto all’interno della pagina dedicata). Facebook ti propone il trailer e tutta una serie di altri gadget digitali: tu puoi commentare il trailer e far si che i tuoi amici lo vengano a sapere. Pensate alla possibilita’ per questo utente di organizzare ad esempio una "gita" al cinema garantendo uno sconto sul biglietto a tutti i suoi amici. Ho l’impressione che i suoi amici apprezzerebbero di piu’ e Facebook ha tutti gli strumenti e la tecnologia necessaria per mettere in piedi un sistema in grado di consentire questo genere di interazione tra utenti.

Ci sono una marea di informazioni su ciascun utente in Facebook, pensiamo ad esempio a quelle relative ai viaggi soggetto delle gallerie fotografiche e alle opportunita per il settore turistico; ora non so quali siano le limitazioni relative all’utilizzo degli stessi ma sono sicura che c’e’ un potenziale comunicativo inespresso. Voi cosa ne pensate?

PS Sono molto invidiosa nel pensare che molti di voi sviscereranno l’argomento insieme a gianluca all’ADVcamp del prossimo weekend a cui purtroppo non riusciro’ a partecipare. Sigh.

 

AGGIORNAMENTO 9 SETTEMBRE

Vi segnalo il case study di Mars descritto da Andrea sempre relativo ad un uso "social" di Facebook grazie anche al coinvolgimento del canale SMS.