CARTIER. Luxury, Web, Music and Charity

Luxury, Web, Music, Charity sono le keyword, i tag, o più semplicemente gli attributi che assocerei a Cartier dopo aver letto un paio di notizie relative ad alcune iniziative di questo brand di lusso relative alla sua collezione Love.

Innanzitutto Cartier estende la sua presenza online non solo al sito love.cartier.com ma a MySpace, ossia si inserisce in un contesto online a mio avviso completamente inaspettato. A primo impatto verrebbe da dire che si tratta di una scelta sbagliata, capace di snaturare il brand, la verità è che preferisco aspettare prima di giungere a conclusioni affrettate perchè l’arrivo di Cartier tra le pagine di MySpace è indice del fatto che la stessa natura del più noto tra i social network sta mutando.

A questo proposito vi riporto un estratto dell’articolo di Adage dedicato a questo insolito matrimonio.

It’s not just for kids anymore "There’s this misperception in the market about MySpace being a youth site, a site for teens," said Travis Katz, managing director-international operations for MySpace. "But 85% of our audience in the U.S. is over 18, and 40% of all moms in U.S. are on MySpace." He claims that MySpace reaches more people making $100,000-plus than other social-network competitors, such as Facebook and Yahoo 360.

Tornando a Cartier le altre due keyword rimaste sono Music e Charity: ho letto su Grazia che sul sito love.cartier.com sono disponibili "dodici brani d’autore da scaricare gratis".

"Li regala Cartier per festeggiare il "Loveday", la giornata dedicata alla solidariertà. Nelle boutique si può acquistare il bracciale d’oro Lovecharity (il 20% dell’incasso andrà all’Unicef)"

Sono andata sul sito per provare a scaricare i brani ed effettivamente sono riuscita nell’intento anche se:

  • è possibile scaricare un brano alla volta e previa compilazione di un form
  • ci sono dei problemi di visualizzazione del sito: usando Firefox e una risoluzione dello schermo 1024×768 non vedevo il bottone di invio del form e non era abilitato lo scroll sulla pagina. Ho dovuto portare la risoluzione dello schermo a 1278 per visualizzarlo e procedere con il download della prima canzone.
Problema di visualizzazione in Cartier Love

Non tutti usano Firefox e non tutti hanno toolbar varie che diminuiscono lo spazio disponibile sullo schermo ma la mia deformazione professionale mi impone di ritenere che i test di usabilità debbano prevedere tutte le possibili condizioni di visualizzazione.

Non solo queste regole dovrebbero essere seguite in generale, a maggior ragione non devono assolutamente essere sottovalutate quando parliamo di luxury online. Navigare nel sito di un luxury brand è una delle possibili estensioni del vissuto del marchio da parte dei propri clienti e la perfezione che questi esigono deve essere ricercata in tutte le sue forme e contesti.

Ora non voglio dilungarmi ulteriormente ma in ufficio stiamo parlando molto del rapporto tra luxury e web e quindi non escludo che tornerò sull’argomento in futuri post.

Nel frattempo vorrei chiedervi come valutate la presenza online di un brand di lusso come Cartier? Ed in particolare come considerate la scelta di aprire una pagina su MySpace?

Quality Entertainment per famiglie: La Web Com di Dixan

Recentemente ho parlato della web tv series americana “In the Motherhood”, definendola “un prodotto innovativo che coniuga l’autenticità degli user-generated contents, con la qualità e la continuità di una produzione seriale televisiva”.

Ho inoltre espresso qualche considerazione in merito alla possibile replicabilità di un format analogo in Italia

Se volessimo ipotizzare la sua "applicabilità" o "replicabilità" in Italia è ovvio che bisognerebbe considerare il fatto che i webisodes rappresentano ancora un fenomeno di fruizione limitata ma ci insegnano anche che puntare su elementi apprezzati dal target come la qualità della produzione e soprattutto la serialità possono comunque generare un seguito di pubblico interessante e rappresentare delle leve per la diffusione di forme analoghe di intrattenimento.

Sono quindi rimasta favorevolmente colpita dall’idea che precede la realizzazione di “Formato Famiglia”, la web com firmata Henkel creata per in occasione della campagna di lancio di nuovo Dixan liquido.

Il format permette di raccontare aneddoti e gag di una famiglia italiana tipo che diventeranno occasione per richiamare i diversi plus del prodotto. Il 5 giugno i primi tre episodi di ‘Dixan Formato Famiglia’ (in tutto la prima serie ne ha in programma 20) saranno presentati in anteprima a Milano presso Uci Cinemas Bicocca, precedendo una proiezione speciale di Sex and the City. Le avventure della ‘Famiglia Macchietta’ saranno anche al centro dell’iniziativa che porterà il nuovo Dixan Liquido in tour per tutta Italia [fonte Pubblicitaitalia]

La sit-com racconta con ironia le piccole avventure quotidiane di una famiglia italiana spiata dall’oblò di una lavatrice e vanno in onda sul sito www.dixan.it e sui canali Fox life e Sky vivo [fonte articolo di ItaliaOggi]

Analogamente a “In the Motherhood” anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un esempio che potremmo definire di “Quality Entertainment”: grazie ad un brand “enabler” nasce un prodotto online ipoteticamente di qualità (il regista è Giuseppe Recchia, lo stesso di Zelig, Colorado café e Love bugs). ) in grado di intrattenere il proprio target di comunicazione di riferimento.

Le principali differenze invece con la serie televisiva americana online dedicata alle mamme sono:

  • Non è esclusivamente online, ma è multicanale (internet, cinema e canali satellitari)
  • Manca una componente UGC presente invece nella “sceneggiatura” degli episodi di In the Motherhood (le storie sono basate sui racconti delle mamme). Tuttavia durante il tour verranno fatti dei provini per entrare a far parte del cast e diventare un protagonista d’eccezione.

Per quanto riguarda la multicanalità vi riporto gli estratti dall’articolo di ItaliaOggi dove vengono spiegate le scelte relative al canale satellitare e alle sale cinematografiche.

«La scelta dei canali dipende dal posizionamento degli stessi», racconta Pofidio, «Fox life è per esempio il contenitore ideale per le sit-com sul bouquet satellitare, Sky vivo racconta invece le storie di tutti i giorni. Entrambe sono in perfetta linea con il nuovo consumatore cui Dixan vuole parlare». […] Il lancio della nuova campagna Dixan è legato, con un evento questa sera a Milano, all’uscita del film Sex and the City. Perché «Dixan è un grande successo sullo scaffale del supermercato», conclude Pofidio, «e abbiamo voluto legarci al più grande successo televisivo degli ultimi anni per dichiarare l’obiettivo della nuova campagna: centrare il primato anche nei contenuti della comunicazione, oltre che nel prodotto».

Ovviamente non ho ancora visto le puntate della sitcom ma vorrei chiedervi come giudicate dalle premesse questo tipo di operazione di comunicazione. Spero che la qualità dell’iniziativa in termini soprattutto di capacità di intrattenimento sia più simile a Love Bugs che a Casa Bonduelle (di cui ora che ci penso avevo parlato un anno e mezzo fa).

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Pensierini “impuri” a Disneyland

Sì lo ammetto, qualche pensierino impuro l’ho fatto durante la mia vacanza a Disneyland:

  • "Capisco che Disneyland sia intramontabile ma perchè questi video sono sempre così anni 80?" Quando arrivi in albergo e accendi la televisione ti accoglie l’agghiacciante filmato "10 things to know before you go": una ragazza bionda mi racconta in inglese le 10 cose che devo assolutamente sapere prima di iniziare questa indimenticabile esperienza. Lei è assolutamente odiosa con quella maglietta di Topolino e il ciuffo alla Cindy Lauper.
  • "Chissà chi è quel poveretto vestito da Pippo. Ma in estate che doccia si fanno? Chissà come li reclutano...". Se volessi diventare la prossima Paperina cosa devo fare? Cosa devo scrivere nel mio curriculum? Quali annunci devo cercare 🙂
  • "Direi che a Disneyland gli sponsor (=soldi) non mancano!" Il filmato si conclude con la schermata dei loghi degli sponsor di Disneyland, saranno stati una decina circa, ora però non me li ricordo tutti quindi non proverò ad elencarli

Vorrei soffermarmi su questo ultimo pensierino perché credo che questo mio vuoto di memoria sia probabilmente sintomatico del fatto che gli sponsor dovrebbero godere di una visibilità diversa da una schermata alla fine di un video agghiacciante, che forse non tutti vedranno, per essere minimamente efficace. E infatti a questo proposito voglio invece citare i due brand che mi ricordo perfettamente, uno per deformazione professionale l’ho anche fotografato, che sono France Télécom e Kodak in quanto sponsor “esclusivisti” di due attrazioni provate; nel primo caso si è trattato di una gita in barca all’interno di "un mondo a misura di bambino" dove all’ingresso e all’uscita veniva comunicato ai “passeggeri” che l’attrazione era sponsorizzata appunto dalla compagnia telefonica francese (notare che non è stato utilizzato il logo ma è stato scritto il nome, evitando quindi il forte effetto marketta).

Nel secondo caso invece l’attrazione sponsorizzata era uno spettacolo in 3D intitolato “Tesoro, mi si è ristretta l’audience” (ispirato al film “Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi”) dove l’audience in questione ha dovuto subirsi un buon 15 minuti di filmato pubblicitario Kodak prima di entrare nella sala.

(foto di Dave McKay)

Non è stata un’iniziativa apprezzata dal pubblico che l’ha giudicata eccessiva e invadente, o almeno questa è l’impressione che ho avuto. Per darvi l’idea di quanto è stato lungo vi posso dire che ad un certo punto ho visto persone indossare gli occhiali 3D mentre guardava gli schermi televisivi dove veniva trasmesso il filmato, forse con il dubbio che fosse quella l’attrazione 3D. L’altra faccia della medaglia però può essere la memorabilità della comunicazione: credo che il messaggio che Kodak ha voluto trasmettere con il filmato, ossia che dietro ad ogni foto c’è una storia, sia rimasto impresso al pubblico più delle motivazioni che possono spingere France Telecom a sponsorizzare un’attrazione per bambini (sempre se viene notata).

Sono tuttavia dell’idea che in comunicazione sempre di più conti la qualità che la quantità e di conseguenza ho preferito la scelta di France Telecom:

  • Sponsor di un’attrazione per tutta la famiglia avente come tema il giro del mondo e quindi in parte riconducibile all’internazionalità e a un brand mobile senza confini (ops questa frase l’ho già vista da qualche parte).
  • Presenza del brand non invasiva anzi per quanto possibile integrata con l’ambiente che lo ospita.

Forse è proprio questo il punto: lo sponsor dovrebbe considerarsi un ospite nel contesto da lui sponsorizzato e adeguarsi ad esso e alle sue logiche, non un padrone che cerca di imporre la sua presenza e di dettare le regole di inserimento.

Voi che ne pensate?

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500 Pop.Up Store: “fighetto”, innovativo, coerente. Almeno sulla carta.

Vi avevo già anticipato che Fiat in occasione del Salone del Mobile avrebbe inaugurato un suo "temporary store" che ufficialmente si chiama 500 POP.UP STORE.

500 Pop.Up Store sul sito ufficiale

Oggi ho dato un’occhiata in rete e ho visto che questa iniziativa comincia a raccimolare un po’ di visibilità. Alcuni dettagli che ritengo personalmente interessanti:

  • Il Pop.up Store è in Corso Como, direi la zona più "fighetta" di Milano.
  • Fiat 500 regala "la possibilità di navigare liberamente nella zona di Corso Como con il tuo portatile o mobile device" utilizzando il collegamento wi-fi messo a disposizione; per usufruirne bisogna recarsi nel pop.up store e lasciare i propri dati. Una scelta strategicamente rilevante per il posizionamento del brand: che tu sia un potenziale usufruitore del collegamento wi-fi o che tu non lo sia, questa iniziativa comunica attenzione verso il proprio pubblico, l’essere up-to-date (soprattutto per un brand come Fiat 500 che ha un forte portato vintage), mobilità.
  • Sarà aperto fino al 31 luglio, quindi sempre "temporary" ma decisamente non a breve termine se confrontato con altre iniziative simili (vedi Alixir e Nivea).
  • Il pop.up store ospiterà la mostra "500 Work Pop" realizzata in collaborazione con Guzzini, brand di design italiano, giovane e accessibile, insomma un partner decisamente coerente. Oggi l’inaugurazione.

Insomma, sulla carta i presupposti mi sembrano buoni. Come diceva Francesco nel mio precedente post sull’argomento "Se fatto bene sarà sicuramente un successo". Staremo a vedere 🙂

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La web tv series dedicata alle mamme: In the Motherhood

Avevo segnalato In the Motherhood su Twitter già un po’ di tempo fa ma era indubbio che avrei dedicato anche un post a questa iniziativa americana di cui sono ormai diventata una fan accanita!

Si tratta di una divertente serie televisiva fruibile esclusivamente online in un canale dedicato sul sito di MSN le cui protagoniste sono tre donne (tra cui Jenny McCarthy) alle prese con il difficile ruolo di mamma.

A rendere In the Motherhood ancora più interessante è la componente "user-generated": le storie alla base dei vivaci webisodes sono ispirate ai racconti che le mamme pubblicano sul sito e che vengono votati dagli utenti; il racconto vincitore diventa il soggetto del prossimo episodio. Si può quindi dire che questa web tv series è un prodotto innovativo che coniuga l’autenticità degli user-generated contents, con la qualità e la continuità di una produzione seriale televisiva. Se volessimo ipotizzare la sua "applicabilità" o "replicabilità" in Italia è ovvio che bisognerebbe considerare il fatto che i webisodes rappresentano ancora un fenomeno di fruizione limitata ma ci insegnano anche che puntare su elementi apprezzati dal target come la qualità della produzione e soprattutto la serialità possono comunque generare un seguito di pubblico interessante e rappresentare delle leve per la diffusione di forme analoghe di intrattenimento.

In più vorrei farvi notare la tipologia di presenza degli sponsor: la web series, che è alla sua seconda stagione dopo il successo della prima (5.5 milioni di visitatori) è sponsorizzata da Suave ("the only beauty brand specially formulated for moms") e Sprint (numero tre dei servizi mobili in America). Onestamente non so quanto abbiano dovuto investire i due sponsor in questione per realizzare la web series ma credo che la percezione di brand da parte degli utenti che si sono appassionati alle storie delle tre mamme protagoniste non possa che essere positiva. I brand in questione sono molto visibili ma non sono invadenti, io personalmente li percepisco più come "enabler" della serie che "sovvenzionatori", sarà l’espressione "conceived by Suave and Sprint" (ossia concepito da) che appare all’inizio di ogni episodio e l’assenza di ogni altro brand sia all’interno degli episodi che del sito a farmelo pensare?

Deformazione professionale 🙂 a parte vi consiglio vivamente di concedervi 10 minuti di relax (gli episodi durano circa 5-7 minuti ciascuno) e di immergervi nel coinvolgente mondo di In the Motherhood (sto facendo talmente tanta pubblicità a questa serie che dovrebbero pagarmi!).

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Elezioni 2008: Il Temporary Political Store

Giusto qualche giorno fa io e il collega Mauri ci siamo chiesti come avrebbero utilizzato lo spazio lasciato vuoto da Mondadori (prima di prendere il posto delle Messaggerie Musicali) in Corso Vittorio Emanuele.

Cavalcando l’onda dei Temporary Shop abbiamo pensato che un’idea di business poteva essere quella di affittare lo store ai brand che fossero intenzionati a seguire la scia di Nivea e Barilla-Alixir visto lo spazio a disposizione e la posizione strategica del negozio.

Non è andata proprio come avevamo pensato, ma quasi: ecco il Temporary (si spera) Political Store di Berlusconi e del suo Popolo delle LIbertà (beh effettivamente lo store era suo anche prima ma in maniera meno vistosa 🙂 ).

Temporary Political Store in Corso Vittorio Emanuele

Preferenze politiche a parte, cosa ne pensate?

 

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Il futuro dell’advertising online (classico) non è “social”

I social networks sono ormai da tempo al centro dei pensieri di molti addetti al marketing e alla comunicazione perchè sono coscienti del fatto che lì potrebbe risiedere il loro target, sia esso di vendita che di comunicazione, e non sanno come raggiungerlo.

Regole di comunicazione che sono valide in un contesto non possono avere ovviamente la stessa efficacia in altri, ed è per questo che Google non ottiene gli stessi risultati sul suo motore di ricerca e su MySpace. Il motivo è ovvio: se nel primo caso la scelta di navigare in Google Search è legata alla specifica esigenza di cercare e soprattutto trovare qualcosa nel più breve tempo possibile, nel secondo invece è connessa ad altri obiettivi, classificabili sarà ovvio dirlo di "networking".  Come scrive Joshua Porter nel suo post "Why Social Ads Don’t Work" non a caso Google si pone come obiettivo di continuare a ridurre il tempo che gli utenti trascorrono all’interno del suo motore di ricerca, perchè questo vuol dire che gli stessi sono riusciti a soddisfare velocemente il loro bisogno, mentre Facebook mira ad ampliare quanto più possibile il time-per-visit dei suoi iscritti.

Lo stesso messaggio pubbilcitario può quindi essere percepito in maniera completamente differente a seconda del contesto: se all’interno del motore può essere utile perchè pertinente con la mia ricerca, all’interno di Facebook è fastidioso perchè decontestualizzato (ci si potrebbe scrivere un libro su questo.. o qualcuno lo ha già fatto??) e antiestetico.

Se sono all’interno di un social network difficilmente cliccherò su un banner/messaggio pubblicitario che mi porterà in un altro sito allontanandomi dal luogo virtuale in cui mi ritrovo, è come se fossi in un pub e per provare una birra diversa da quella che bevo solitamente dovessi uscire e recarmi in una nuova discoteca, magari bellissima ma dove non conosco nessuno e non mi sento altrettanto a mio agio: non sarebbe meglio farmela bere nel mio solito amato pub insieme ai miei amici?

In sintesi

the context is entirely different. When you’re in search mode, you are playing by different rules

L’analisi dei primi risultati relativi ai "social ads" confermano appunto la teoria secondo cui il presupposto per far sì che l’utente interagisca con i messaggi pubblicitari sia che in quel momento sia più o meno esplicitamente alla ricerca di qualcosa, e quindi questi sono alcuni dei contesti in cui si ottengono i ritorni migliori:

  • Searching
  • Shopping
  • Traveling

Proprio qualche giorno fa Mauri, il mio compagno di scrivania, mi ha raccontato di aver trovato un interessante sito sul Canada se non ricordo male mentre navigava in Turisti per Caso cliccando su un annuncio pubblicitario.

Questo ci porta a fare qualche prima considerazione anche sugli esiti della ipotetica futura guerra tra Microsoft+Yahoo e Google: benchè gli strumenti di posta elettronica e di community dei primi due siano più forti non riusciranno a monetizzare gli stessi risultati in termini di advertising di Google Search. Questo ci fa inoltre capire perchè gli investimenti e gli sforzi maggiori da parte dei tre colossi siano incentrati soprattutto sul mobile e sulle maps: quando le persone accedono ai servizi mobile sono in movimento e quindi in unfamiliar places with the same old needs, stiamo quindi cercando sia una destinazione sia dei servizi che ci possano essere di supporto lungo il tragitto. Proprio per questo motivo Joshua conclude il suo post affermando che maps and mobile are the future of advertising.

Le osservazioni interessanti però continuano all’interno dei commenti:

Innanzitutto ci si interroga sull’efficacia dei messaggio all’interno dei blogs: che differenza c’è tra l’advertising su MySpace e quello nei blogs, ossia i risultati in termini di CTR non dovrebbero essere più bassi? La risposta è NO, e questo grazie alla visibilità che i blog hanno all’interno delle SERP, ossia delle pagine dei risultati di ricerca. A differenza dei social network infatti i blog vengono spesso visitati in quanto all’interno dei risultati di una ricerca ed essendo l’utente in quel momento nel cosiddetto "seach mode" è più propenso a continuare appunto questa ricerca cliccando sui messaggi presenti nei blog: User searches, user clicks through to blog, user clicks ad. Ed è proprio per questo motivo che un blog riesce a guadagnare quanto più è focalizzato su un argomento (vi consiglio a questo proposito il post di Tagliaerbe "Tematizzare: il primo comandamento SEO")

Altri utenti riflettono su usi migliori dei social network:

  • Better-Targeted Ads: benvenga la pubblicità nei social networks, ma solo se fortemente contestualizzata ed interessante per il target, anche perchè i social network offrono a volte un livello notevole di segmentazione dei consumatori. L’esempio fatto è quello di Dogster la community dedicata agli amanti dei cani, "a dream marketing opportunity for a company like… Pup-peroni, marca di cibo per cani, che è infatti uno degli sponsor del sito. Ho notato che una delle campagne di advertising visibile in questo momento è il lancio del doppio DVD Platinum Edition della Carica dei 101, più contestualizzato di così 🙂
  • Brand Building e Sponsorship: già all’interno del post Joshua aveva spiegato che la presenza di pubblicità all’interno dei social network non sia legata necessariamente al tentativo di portare gli utenti sul proprio sito, costringendoli quindi a lasciare il proprio "space", ma perhaps they are simply for brand-building purposes…you see the brand and it has a subconscious effect…you don’t change what you were doing but the brand is somehow strengthened in your mind from the ad impression. A questo proposito nei commenti si parla di opportunità di Sponsorship, come ad esempio nel caso appena visto di Dogster, perchè è vero che gli utenti continueranno a vivere la loro vita virtuale e a fare "networking" ma saranno riconoscenti al brand che permette loro di fare tutto questo, probabilmente memorizzandolo e diventandone consumatori. Onestamente non credo che sia così semplice ma potrebbe essere più efficace del semplice messaggio; ovviamente bisognerebbe in qualche modo misurare l’efficacia di un’azione di questo tipo in relazione anche all’investimento che è indubbiamente più elevato rispetto ad un messaggio pubblicitario.
  • Panel Research e Paid reviews: ci sono molte potenzialità in questo senso, ma anche in questo caso è necessario tenere bene a mente le caratteristiche intrinseche dello strumento che impongono trasparenza e rispetto.

Ultime due considerazioni prima di chiudere questo lunghissimo post:

  • Quando pensate a MySpace, a Facebook o agli altri social networks è importante ricordare la sfera personale in cui volete entrare: "Despite what advertisers think, my Facebook account is MY personal space… please don’t bug me on it.". Attenzione, la pubblicità in questi contesti non solo potrebbe non sortire nessun effetto, ma potrebbe essere addirittura controproducente.
  • Gli utenti abituali dei social networks li conoscono come le loro tasche, forse meglio, alcuni potrebbero navigare al loro interno anche ad occhi chiusi quindi possono tranquillamente sfuggire all’esposizione di messaggi pubblicitari. Esattamente come nella vita reale alcune persone have an amazing ability to filter out ambient noise in places they frequent and i believe this also plays a part in the lackluster results of ads.

Scusate se sono stata prolissa ma non volevo omettere nessun dettaglio degno, a mio avviso ovviamente, di rilievo e di essere esplicitato.

Voi cosa ne pensate? Queste considerazioni valgono anche per il mercato italiano?

Temporary Shop di Alixir: essere trendy (forse) non basta

Da qualche tempo sto seguendo, con interesse più "markettaro" che salutistico lo ammetto, il caso Alixir, soprattutto dopo l’inaugurazione del temporary shop a Milano, in zona brera.

L’interesse nei suoi confronti è scontato: il lancio di Alixir è ancora oggi seguito da numerosi commenti, alcuni dai toni entusiastici altri decisamente più scettici, da parte sia di chi è sostanzialmente interessato alle innovative forme di comunicazione che Barilla sta adottando per presentare la sua nuova linea di prodotti, sia di chi è attratto dalle loro proprietà nutritive.

A questo proposito vi segnalo sia il post di ninjamarketing, punto di riferimento per le forme di comunicazione non convenzionale e quindi inevitabile presenza del Temporary shop

l’Alixir Food Lounge, con il suo nero caratteristico predominante, è un’oasi emozionale – e cool! – in cui vivere un’esperienza alimentare innovativa ed esclusiva: la Next Food Experience. Nel temporary store si è catapultati in un’altra dimensione all’interno della quale scienza e informazione si mescolano per raggiungere l’obiettivo di vivere meglio. […]

L’acquolina è d’obbligo ma si sta a cuor leggero e con lo stomaco pieno! Stranamente, infatti, non si è assaliti dai sensi di colpa… Insomma, abbiamo gradito!

sia il post di Piero di ovosodo che si sofferma più sulle qualità e le caratteristiche intrinseche del prodotto che sulla comunicazione

Un prodotto ha attirato la mia attenzione, luccicava sull’apposito espositore piazzato in mezzo dove ci devi per forza sbattere contro. Mi avvicino, Alixir è un pane. Bene, roba per me, voglio approfondire.[…]

Sembra tutto normale, salvo i “principi attivi”: Alixir Cor(TM) , un ingrediente brevettato. Un brevetto. Nel pane! Bah, saranno i tempi moderni, forse dovrò adattarmi, ma mi sa che è meglio che resto come sono.[…]

Ricapitoliamo: ho scoperto un pane che costa come il pandoro del pasticciere, che non te lo fanno vedere prima di comperarlo, che oltre ad un ingrediente brevettato contiene margarina e aromi artificiali, in cui il 50% di quello che paghi è vaselin* oops scusate, "concetto e marketing". Saranno i tempi moderni… io credevo che il pane fosse un’altra cosa. L’esito dell’assaggio? Beh, il mio istinto di… consumatore consapevole mi ha suggerito di non comperarlo 🙂 E bravo Williams Murray Hamm

All’uscita ho dato un Euro al vuccumprà. Lui non sa perchè, ma io sì: mi fa ugualmente bene al cuore 😉 mi costa meno, e non sono costretto a farlo due volte al giorno per 21 giorni di fila.

Ottimi post entrambi, ma mi lasciano con una domanda: il Temporary Food Lounge è in grado di abbattere lo scetticismo e l’ostilità che naturalmente si generano nei confronti dei prodotti Alixir? I presupposti per riuscirci ci sono tutti: approccio comunicazionale esclusivista, opportunità di provare il prodotto, possibilità di dialogo diretto con il consumatore.

Personalmente non sono ancora riuscita ad andarci e credo che prima del 29 febbraio, data in cui il temporary shop verrà chiuso, non andrò comunque, e forse non è comunque una gran perdita, non sono decisamente in target.

Anyway, fortunatamente è arrivato il post di Communication Idol (che scrive poco ma quando lo fa a mio avviso lascia sempre il segno) ad esaudire il mio desiderio di saperne di più.

Ecco un lungo estratto della sua lunghissima recensione sulla sua personale esperienza nel temporary shop Alixir.

[…] l’obiettivo principale di un temporary shop è proprio questo: “influenzare gli influenzatori” […] .
A differenza dello shop Nivea
[vi segnalo l’articolo di Brand Forum se volete approfondire], il temporary Alixir si presenta come un’esperienza di marca più che di prodotto […] un’esperienza quasi mistica: all’ingresso la profondità di un corridoio scuro di tanto in tanto spezzato dai verbatim dei consumatori che parlano del loro rapporto con il benessere e la salute ha l’obiettivo di avvicinare al tema il visitatore (il benessere e la salute) senza svelarlo troppo […]

Lo spazio che ci accoglie parla di scienza e tecnologia: superfici lineari, quasi asettiche, computer, luci morbide e diffuse. L’obiettivo sembra quello di ribadire l’efficacia dei prodotti attraverso suggestioni che rimandano al mondo della scienza. E’ però una ”scienza pettinata”, un ordine più simile a quello di un lounge bar newyorkese che a una clinica privata.

La giovane sacerdotessa/promoter dalla pelle d’ebano mi accoglie e mostra i segreti della brand. […]

“Preferisce partire con il questionario QX. Oppure con quello che valuta il suo personale livello di benessere?”. Di fronte al mio interesse per il primo, la promoter mi spiega: “Si tratta di un progetto in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia del Regina Elena di Roma per indagare gli effetti di una sana nutrizione sul benessere psicofisico”.

L’intuizione è chiara: una marca che promette benessere individuale deve farsi anche portatrice di valori salutistici collettivi.

Non solo: non si può promettere salute se non si è sufficientemente credibili; così l’autorevole accostamento al Regina Elena vuole fertilizzare la marca di un’etica della salute e i prodotti di una credibilità nella promessa di efficacia.

La mia risposta non si fa attendere:”Ovviamente parto con il questionario QX…“

Un computer touch-screen dal software user-friendly pone 27 domande a risposta chiusa. A seguire un altro questionario valuta il mio livello di benessere in termini di cuore, sistema immunitario, intestino, invecchiamento cellulare.

Le domande in questo caso però appaiono troppo ingenue per un target “wellness-holic”: come possono 8 domande dare delle indicazioni su 4 argomenti così importanti?

Dopo il questionario il computer “dice di avere” dati sufficienti per un menù personalizzato: lo chef Barilla al centro di un tavolo circolare prepara per me un mini-menu specifico per le mie esigenze nutrizionali.

L’esperienza rimanda a quella dei corner Clinique, dove da sempre il famoso computer valuta le caratteristiche della pelle e suggerisce la giusta combinazione di prodotti cosmetici.

Ma la similitudine finisce lì dove inizia l’esclusività dell’esperienza vissuta: dalla presenza dello chef alla disposizione del cibo, dai contrasti cromatici tavolo-piatto-cibo alla morbidezza della musica lounge tutto contribuisce alla creazione di una esperienza unica ed esclusiva, ben lontana da un posizionamento mass e più in linea con la mass-exclusivity.

Il giusto spazio per ogni commensale e la rotondità del tavolo garantisce un ottimo compromesso fra privacy individuale e condivisione dell’esperienza culinaria. Il messaggio lanciato è chiaro: il cibo per Alixir è sì esperienza da vivere da soli, da assaporare con consapevolezza ma è anche esperienza sociale e socializzante, è vita in sé. L’idea del cuoco al centro del tavolo con i commensali intorno aiuta a rafforzare l’idea di unicità e attenzione al cliente, molto in linea con un target esigente e alto spendente come quello Alixir.

…] le mie curiosità si sono accese e i dubbi moltiplicati. Provo a soddisfarle chiedendo al cuoco che risponde chiamando a sua volta una giovane ragazza. In linea con l’obiettivo mi aspetterei un’esperto/a, forse qualcuno in camice come avviene nel flagship store Kiehl’s, dove commessi/farmacisti dispensano preziosi consigli con autorevolezza e esperienza. Invece è una ragazza cortese a darmi risposte, più simile ad una venditrice che ad un’esperta.[…]

Forse l’accostamento del nutrizionista al cuoco sarebbe stato vincente e avrebbe maggiormente soddisfatto le esigenze di un target wellness-conscious e proprio per questo opinion leader.

La capacità di creare opinione va infatti sollecitata sfiorando le giuste corde: corde razionali e/o emozionali. L’esperienza della mia visita ha sicuramente toccato la mia emotività, è riuscita a suggestionarmi, mi ha fatto vivere per un po’ in un’esperienza mistica, piacevole, raffinata dove il vero protagonista era in fondo il concetto di eternità. Ma le suggestioni tecnologiche e la collaborazione con il Regina Elena sono state sufficienti a parlare a quella parte di me che vuole conoscere e s’informa? che va sui blog? che spulcia il web alla ricerca della più provata reason to believe?.

Dopo aver letto i tre post mi viene da pensare che utilizzare forme di comunicazione innovative serve per destare l’attenzione ma non è sufficiente per raggiungere il vero obiettivo. Alla base di ogni iniziativa di comunicazione deve esserci sempre un attento studio e una profonda conoscenza sia del proprio target di riferimento che del prodotto (sono d’accordo ad esempio con il fatto che la presenza di un esperto alimentare in grado di argomentare le proprietà del prodotto anche con i consumatori più attenti ed esigenti fosse necessario).

Voi cosa ne pensate? Cosa dovrebbe fare Alixir per catturare davvero questo target e trasformarlo in consumatore?

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Social Media Lab + Minibar: cosa mi sono portata a casa

Sì venerdì c’ero anch’io e ho fatto la doppietta Social Media Lab e Minibar.

Per quanto riguarda il Minibar ho le prove della mia presenza:

 

Per quanto riguarda il Social Media Lab la prova tangibile della mia presenza è che so cos’è il CPM Binario 🙂

Quando Mafe ha aperto la giornata con il suo intervento chiedendo "chi sa cos’è il CPM?" "chi sa cos’è il codice Binario?" "chi si è chiesto il perchè di questo titolo?" io ho alzato la mano ma la verità è che non mi ero davvero posta questa domanda, forse sono andata sulla fiducia :-), e ho iniziato ad ascoltare con curiosità.

CPM è un’unità di misura utilizzata in advertising ed è l’acronimo di Cost per mille (o Cost per Thousand) visualizzazioni degli annunci (non è utilizzata solo online – inteso come display advertising ovviamente – , ma in radio, TV e altre forme di pubblicità) mentre il Il sistema numerico binario è un sistema numerico posizionale in base 2, cioè che utilizza 2 simboli, tipicamente 0 e 1, invece dei 10 del sistema numerico decimale tradizionale, […] è usato in informatica per la rappresentazione interna dei numeri, grazie alla semplicità di realizzare fisicamente un elemento con due stati anziché un numero superiore.

Mafe ha accostato un elemento tipico dell’advertising tradizionale con un altro appartenente all’Informatica in generale e quindi possiamo dire anche ad Internet. Perchè?

Per spiegare con quale parametro le aziende dovrebbero valutare il loro potenziale investimento in iniziative online volte a dialogare con i singoli utenti: usando il CPM Binario, ossia considerare il numero 1000 con il sistema numerico binario e rapportarlo all’equivalente nel sistema numerico decimale, ossia 8 (per saperne di più su questa conversione potete leggere la Breve guida sul calcolo dei numeri binari con le operazioni matematiche).

Quindi quando attivo una comunicazione mirata e personalizzata su 8 utenti internet devo considerare che questo dato potrebbe essere equiparato ad un target di 1000 spettatori di una campagna ad esempio televisiva e questo perchè se nel primo caso io arrivo a conoscere queste 8 individui a coinvolgerli davvero a farli vivere seriamente un’esperienza con il mio brand nel secondo la comunicazione è "sparata" ai mille con la speranza di averli colpiti e influenzati. Nel primo caso invece possiamo stare (quasi) certi che questi non terranno tutto per sè ma lo condivideranno, diventeranno non solo dei brand lovers ma dei veri e propri ambassadors, arrivando potenzialmente a raggiungere positivamente fino a 1000 utenti. Ovviamente questo processo di viralizzazione è più tangibile e soprattutto misurabile se avviene online, difficilmente possiamo sapere quanto la diffusione dello stesso è capillare offline.

Questo assunto così forte, e ovviamente provocatorio, è stata una premessa ideale alla presentazione delle start-up che è seguita all’intervento di Mafe, per le quali il passaparola è un requisito fondamentale per lo sviluppo e la crescita.

Tornando al CPM Binario, Mafe ha evidenziato un altro aspetto ostico per la comunicazione online ed è la misurazione: quello che in realtà è un punto di forza del web, ossia la possibilità di avere dati certi sul comportamento degli utenti, viene vissuto da molti con frustrazione soprattutto da parte di coloro che sono abituati a lavorare per stime (con le quali è più facile trovare delle adeguate giustificazioni ai propri risultati).

Purtroppo, anche se io personalmente direi per fortuna, l’evidenza e la brutalità dei numeri è un aspetto del web che bisogna in qualche modo accettare e soprattutto imparare a conoscere riparametrando le proprie unità di misura relative all’efficacia dei progetti di comunicazione.

Per quanto riguarda il resto della giornata vi invito a leggere altri post scritti sull’argomento:

Social Media Lab (second edition) e Minibar Italy di Francesco Federico che ho avuto il piacere di conoscere di persona

MiniBar – The Day After di Adriano Gasparri con il quale ho un conto in sospeso 😉

SocialMediaLab: resoconto di una giornata di Dr_who

Social Media Lab 2 @ IULM e MiniBar @ Triennale di Frenz (feelByte)

e ovviamente il blog ufficiale del Social Media Lab dove è possibile trovare tutte le presentazioni delle start-up presenti al Minibar.

Per quanto mi riguarda ho già parlato sia di Zooppa che di Zzub (ai tempi Bzzers), due delle iniziative presentate durante la giornata, su One Web 2.0 quindi per il momento vi rimando lì :-).

Mi riprometto di saperne di più su BootB, per il momento ho la loro maglietta appesa nella bacheca del mio ufficio come promemoria!

 

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