Riflessioni su “Ode allo Spreco” di Chris Anderson

Recentemente sul numero di Ottobre di Wired Italia ho letto “Ode allo Spreco” di Chris Anderson, direttore di Wired US.

“La tecnologia tende a somigliare sempre di più alla natura. Abbondare è l’unico modo per prosperare e assicurarsi una chance di sopravvivenza. Nella dura vita delle nuove economie, meglio imparare la lezione del libero arbitrio di YouTube”

In sintesi i principali concetti dell’articolo:

  • A differenza della natura che è portata a sprecare vita per cercare vita migliore noi esseri umani non siamo predisposti positivamente verso lo spreco, lo consideriamo eticamente sbagliato (pensiamo al senso di colpa che proviamo nei confronti del cibo: se dovessi cucinare una torta e questa non mi soddisfa pienamente non la butterei via per provare a farne una migliore, ma mangerei quella mediocre perchè sarebbe un peccato gettarla nella spazzatura).
  • Il concetto di spreco è soggettivo e muta nel tempo perchè cambia il valore economico di alcuni prodotti e servizi; Anderson fa l’esempio della differente percezione di una chiamata interurbana tra nonni e nipoti: i primi la vivono come qualcosa da fare in fretta senza perdere tempo perchè dispendiosa nonostante oggi il costo delle telefonate si sia drasticamente ridotto, i secondi quasi non si pongono il problema.
  • La tecnologia oggi ci consente di sprecare proprio come avviene in natura perchè il costo dello spazio che occupiamo con i nostri sprechi (dati, file, etc) è prossimo allo zero.
  • YouTube è un esempio concreto di sfruttamento dello spreco: una specie di esperimento collettivo per esplorare lo spazio potenziale dell’immagine in movimento “sprecando video” in cerca di video migliori.
  • YouTube mette in crisi il concetto di qualità, scardinandolo da ogni valenza oggettiva per lasciare posto a quelle soggettive: è risaputo che YouTube è pieno di cosiddetta spazzatura, ma non lo è nel momento in cui un video come il piccolo panda che starnutisce totalizza oltre 40 milioni di views. Anderson fa l’esempio dei suoi figli appassionati di Star Wars che preferiscono le animazioni in stop motion ricreate con il Lego da bambini di nove anni loro coetanei rispetto al dvd HD. “La spazzatura è negli occhi di chi la guarda”.
  • YouTube cambia le logiche del marketing facendo emergere un mercato prima invisibile in cui la domanda è spesso inespressa o ignorata e l’offerta va ricercata all’interno dello spreco. Riprendendo l’esempio dei suoi figli, Anderson dice che “dev’esserci sempre stata una domanda di Star Wars in stop motion, ma era invisibile perchè nessun esperto di marketing aveva avuto l’idea di offrire un prodotto del genere”. YouTube stravolge le logiche del media introducendo una logica di abbondanza in un settore fortemente caratterizzato dalla gestione della scarsità. Riprendo un passaggio dell’articolo: “Se controlliamo risorse scarse (per esempio la TV in prima serata), dobbiamo scegliere attentamente. Quelle mezz’ore di trasmissione hanno costi reali, e se non si raggiungono le decine di milioni di spettatori si paga con soldi bruciati e carriere distrutte. Non stupisce che i dirigenti televisivi si affidino alle sit-com e alle celebrità: una scommessa sicura in un gioco costoso. Ma se potete sfruttare risorse abbondanti, potete correre rischi perchè il costo del fallimento è basso. Nessuno viene licenziato se la vostra clip su YouTube viene vista solo da vostra madre.
  • In un mondo in cui scarsità e abbondanza coesistono è necessario “perseguire simultaneamente controllo e caos”.

Mi sembra un punto di vista molto interessante ma a tratti incompleto.

Non ho letto gli eventuali approfondimenti su questo tema ma vorrei condividere alcuni pensieri su alcuni passaggi dell’articolo che ovviamente mi interessano quando devo considerare l’Economia dell’abbondanza nel mio ambito lavorativo.

Anche internet è gestita in logica di scarsità.

Ovviamente non “internet” globalmente, solo alcuni dei suoi ambienti, ma credo sia opportuno ricordarlo perchè nell’articolo di Anderson mi sembra che i media classici vengano analizzati come se avessero logiche totalmente differenti dai digital media.

Anche quest’ultimi sono interessati da una logica di scarsità, pensiamo ai portali e alle testate giornalistiche online. La visibilità si paga, non tanto quanto sui mezzi classici come la TV, ma non è gratis.

La stessa homepage di YouTube richiede un investimento spesso non marginale in termini di quote di budget.

Di conseguenza procedere per tentativi, sperimentare sprecando con l’obiettivo di cercare la soluzione migliore può essere oneroso se il video in questione è appunto nella homepage di YouTube o del Corriere (a questo proposito vado un po’ OT ma vi ricordo alcune discussioni “roventi” su Friendfeed in merito alla sponsorizzazione di Lancia Delta appunto sul Corriere).

Il rovescio della medaglia è che l’economia della scarsità online si trascina gli stessi atteggiamenti prudenziali e sbagliati tipici dei media classici. Anderson dice che i dirigenti televisivi puntano sulle celebrità per non “sbagliare”, io vedo web marketing manager che per lo stesso motivo, andare sul sicuro, decidono di riproporre online lo spot televisivo, tale e quale, o perchè hanno paura di puntare su qualcosa di diverso o perchè nella loro percezione è il contenuto di maggiore qualità che hanno a disposizione (quello che è costato di più produrre). Potrebbero avere contenuti inediti, magari banalmente i dietro alle quinte dello spot con episodi divertenti delle riprese o i commenti a caldo dei protagonisti, ma preferire lo spot andato in onda, perchè gli altri contenuti non sono qualitativamente adeguati.

Qui ovviamente ha ragione Anderson quando dice che la spazzatura è negli occhi di chi la guarda e che c’è una domanda che il marketing non vede e a cui quindi non può rispondere.

Internet ha una memoria che lascia molte tracce. Caotica, ma potenzialmente infinita.

Sì è vero, il costo dello spazio occupato dai dati oggi si avvicina allo zero, ma è anche vero che questo rende possibile immagazzinarne la memoria storica.

Arriverò al dunque: se metti online una cavolata è molto difficile farla sparire. Puoi eliminarla dalla tua macchina ma questo non esclude che qualcuno l’abbia salvata e ripubblicata in altri spazi della rete. Quindi anche in questo caso sprecare per andare alla ricerca del contenuto perfetto può essere controproducente perchè nulla esclude che l’utente arrivi al tuo spreco prima di arrivare al tuo contenuto perfetto.

Anche nel caso in cui l’utente scopra il contenuto perfetto non è escluso che per approfondirlo non arrivi agli sprechi che lo hanno preceduto.

Questo ragionamento vale ovviamente per le aziende, per le celebrities, ma anche per le persone comuni: vogliamo davvero che il nostro potenziale datore di lavoro cercando informazioni su di noi arrivi a quel famoso video che ha fatto tanto scompisciare i nostri amici? Anche questo è un tema che richiederebbe un approfondimento ma in questo post eviterei (vi suggerisco la sempre valida presentazione di Sara al Parmaworkcamp "Quando anche il tuo capo è online", qui ripresa in video da Elena).

Attenzione, non voglio censurare un determinato tipo di comportamento online, io stessa ho vita morte e miracoli di me stessa nei vari social media ma ad ognuno dò un ruolo e li tengo per quanto possibile sotto controllo.

Vorrei solo suggerire un po’ di prudenza verso la cosiddetta Economia dell’Abbondanza e approfondire un aspetto solo accennato da Anderson nell’articolo che è quello di perseguire simultaneamente controllo e caos.

L’approccio all’Economia dell’abbondanza dovrebbe iniziare non dallo spreco ma dal monitoraggio.

In conclusione posso dire che a mio avviso il miglior modo per sfruttare questa abbondanza è iniziare da subito a monitorarla.

Il monitoraggio dovrebbe interessare quattro categorie di contenuti:

  1. I tuoI contenuti per avere una visione d’insieme degli “sprechi” già pubblicati e ricostruirne uno storico. Come sono stati recepiti? Come sono stati riutilizzati da parte degli utenti? Sono davvero degli sprechi inutili o se modificati possono evitare di sprecare ulteriormente generandone di nuovi?
  2. I contenuti che parlano di te per capire come controllarli ed eventualmente gestirli. Internet ha il vantaggio rispetto agli altri mezzi di poter modificare, taggare, commentare, linkare, aggregare ciò che viene distribuito in rete. Se qualcuno pubblica un video su un nostro prodotto è scontato dirlo ma è importante essere il primo a saperlo in modo da decidere se e come reagire. Se gli utenti ad esempio pubblicano video tutorial sui nostri device potrebbe essere una buona idea creare un ambiente dove aggregarli piuttosto che crearne di nuovi (ed evitare ancora una volta “sprechi”).
  3. I contenuti degli altri per controllare cosa è già disponibile in rete per evitare di aggiungere “sprechi” già realizzati. Anderson afferma che “presto o tardi ogni video realizzabile sarà realizzato”: a mio avviso sarà più tardi che presto perchè la cultura del Remix può portare alla generazione di infinite versioni di uno stesso contenuto, ed è opportuno monitorare la rete per evitare di investire risorse nella creazione di qualcosa che esiste già se non è necessario.
  4. I commenti ai contenuti: per cercare di capire cos’è la qualità oggi. Non voglio dire che il video del panda che starnutisce sia un video eccelso ma se ha totalizzato così tante views forse è meglio farsi delle domande su cosa è possibile offrire oggi ed esplorare il web alla ricerca di stimoli che stravolgano magari i canoni tradizionali di qualità.

Voi cosa ne pensate? Secondo voi qual è il giusto modo di approcciare questa Economia dell’Abbondanza? Avete esempi interessanti di gestione dello "spreco"?

Subvertising: guerrilla e marketing non convenzionale in formato pdf

Il mio feed reader tra poco scoppia, ho perso il conto delle annotazioni su Google Notebook ma nonostante questo non riesco a rinunciare a scoprire nuovi fonti informative e tra queste voglio consigliarvi Subvertising, il nuovo mensile gratuito, in formato pdf, dedicato al guerrilla marketing ed alla pubblicità non convenzionale.

Io ho già scaricato, stampato e letto il primo numero e sono in attesa dell’uscita del secondo, previsto per il 10 dicembre.

Tra gli articoli che ho trovato più interessante del numero 1 di Subvertising vi segnalo:

  • World of Warcraft ospita Toyota (pag. 12)

Onestamente, se sei un pubblicitario o un uomo marketing di respiro internazionale e conosci Second Life ma non World of Warcraft, c’è qualcosa che non va.

  • Il marketing sociale si fa (per) strada (pag. 14)

il marketing sociale non può che trarre giovamento da quelle tecniche che, facendo leva sulla scarsità di mezzi a disposizione e sul volontarismo, arrivano a suscitare emozioni profonde nello spettatore. Lottare con le stesse armi dei giganti, senza averne però le medesime dimensioni, non è semplice.

  • Quando la pubblicità è una sola (pag. 22)

Qualche giorno fa ero a Firenze e mi arresto davanti ad un manifesto che mi colpisce, lo fotografo, come faccio spesso. Visto che in Toscana c’è la Sterpaia, scuola-laboratorio di Toscani, mi pare quasi ovvio pensare che dietro ci sia il suo pensiero. Poi, per qualche particolare, non mi torna.

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Anche LEGGO cade nella trappola delle Bufale

Ore 9 circa, sulla tratta di Metro Cadorna-San Babila cerco di leggere Leggo. Arrivo a pagina 31 ed esclamo ad alta voce: "Ancoraaa??", noto lo sguardo sospettoso di alcuni viaggiatori, sorrido, mi ricompongo e continuo a leggere incredula e divertita questo trafiletto.

 La Bufala dei Cuccioli di Labrador su Leggo

Credo di aver ricevuto un email con questo appello disperato la prima volta 5-6 anni fa, dico la prima volta perchè ogni anno puntualmente qualche amico la gira alla sua mailing list di friends e ogni anno mi sento in dovere di spiegare che si tratta di una bufala e di girare il link al sito di Attivissimo, famoso in quasi (purtroppo) tutta la websfera per il suo servizio di antibufale.

Ahimè, chissà quante altre castronerie ci tocca leggere ignari ogni giorno 🙂

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Beppe Grillo è pur sempre un VIP

[Scritto Lunedì 1ottobre]

Venerdì ho comprato l’Espresso, come molti altri blogger credo, per leggere l’articolo di copertina "SESTO POTERE" il cui sottotitolo recita "Prima la TV ora la Rete. Dopo il caso Grillo il Web sotto processo. è democratico o è un nuovo Grande Fratello?".

Avevo saputo infatti che erano stati intervistati anche alcuni noti blogger italiani ed ero curiosa di sapere che cosa avevano detto. Se devo essere sincera molti di questi mi hanno deluso perchè hanno voluto analizzare il caso Beppe Grillo come se quest’ultimo fosse un blogger come loro, con uguali "diritti e doveri".

Faccio riferimento a queste dichiarazioni:

Massimo Mantellini:

Beppe Grillo in realtà; sfrutta la Rete disinteressandosi delle sue caratteristiche di "nuovo media", vale a dire di strumento bidirezionale. Al contrario, usa Internet come un media convenzionale. In alcuni casi la politica tende a usare Internet "da uno a molti", magari con semplici video messi online […]

Luca Sofri:

In Rete Grillo emette ma non riceve, cioè lascia liberi i commenti ma poi non interagisce nè con i suoi lettori nè con il resto della blogosfera

Sarà superficiale da parte mia fare questa considerazione ma la prima cosa che mi è venuta in mente è stato: vi aspettavate DAVVERO qualcosa di diverso? In tutta onestà mi chiedo se sia fisicamente fattibile per un solo uomo rispondere a tutti i commenti presenti nel blog di Beppe Grillo. Qualcuno potrebbe rispondere "l’80% di quei commenti è fuffa, potrebbe rispondere al restante 20%", ok il ragionamento non fa una grinza se non per un particolare: BEPPE GRILLO è UN VIP, non un VIP BLOGGER ma un VIP vero e proprio (e forse sarebbe opportuno ricordare a questo proposito che è diventato un cosiddetto blogger perchè non aveva più la possibilità di farsi vedere e sentire altrove). Cosa succederebbe se Beppe Grillo rispondesse ad alcuni utenti? Si scatenerebbe la competizione "Beppe Grillo ha risposto ad un mio commento!" "Uff ma a me non risponde mai!" "Ma cosa devo fare affinchè Beppe Grillo mi consideri? Lascio sempre tanti commenti sul suo blog ma a me non risponde mai!" etc etc. So che è una considerazione triste e non in linea con il "tenore" della blogosfera ma Beppe Grillo è un VIP nella blogosfera (non della blogosfera) e come tale deve essere guardato e giudicato.

Una volta ho letto che il blog di Beppe Grillo è di fatto "una blogosfera a sè", non so se essere pienamente d’accordo con questa definizione (che purtroppo non mi ricordo dove ho letto) ma sicuramente esprime bene il concetto di considerare il suo blog come qualcosa di diverso.

Antonio Sofi, in linea con quanto dichiarato dai blogger sopracitati dice

Grillo ha scelto di disegnare la sua Internet come fosse un palcoscenico teatrale, in cui c’è chi si esibisce sopra il palco dei post e un pubblico che sta nella platea dei commenti a godersi lo spettacolo e a chiaccherare tra loro. Di qui una certa illusione di partecipazione e interazione. Ma i commenti alla fine tendono a perdersi nel rumore di fondo di mille altri commenti diventando di fatto applausi o fischi

In questo intervento di Antonio Sofi c’è un passaggio che condivido: "Grillo ha scelto di disegnare la sua Internet", esatto, la SUA internet, non ne esiste una sola che ne dite? Ma quello che ho apprezzato maggiormente di Sofi è stata la prima parte della sua dichiarazione perchè credo che sia il punto di partenza che bisognerebbe adottare per una reale e sensata conversazione sull’argomento

 

Si può usare Internet in mille modi diversi e con mille finalità […] Vale l’esempio del classico coltello che può essere usato per tagliare il pane o per offendere. Non esiste una sola Internet, ma tante Internet quante sono le persone che la usano.

 

[Scritto martedì 2 ottobre prima della pubblicazione]

Ci sono altri pensieri che mi passano per la testa in merito a quanto ho letto sull’Espresso ma per ora preferisco fermarmi qui e non rileggere troppe volte questo post perchè se no va a finire che lo riscrivo o lo cancello eheh. Spero di non essere sembrata "impertinente", è tutto semplicemente imho 🙂

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Il Corriere dentro al quartiere … spero non troppo!

Giovedì sera prima di scendere in metro ho preso una copia di City, il freepress del Corriere, e sull’ultima pagina era stampata la pubblicità della nuova rubrica di ViviMilano "Dentro al Tuo Quartiere". Si tratta di un’iniziativa potenzialmente interessante il cui protagonista è un Camper azzurro che si sposterà nei quartieri milanesi con l’obiettivo di avvicinarsi concretamente ai lettori, ascoltarli, raccogliere le loro storie per poi successivamente aiutarli a risolvere i loro piccoli problemi quotidiani.

Proprio oggi il camper inizia il suo tour che toccherà dodici tappe, dodici quartieri di Milano partendo da via Ucelli di Nemi a Ponte Lambro, fino ad arrivare il 7 novembre in Bicocca, piazza dei Daini.

Dalle 11 del mattino alle 19, si trasformerà in punto di ascolto a disposizione di tutti. Oltre ad inviare lettere e foto (Corriere della Sera, via Solferino 28, 20121 Milano), potrete dialogare direttamente con la redazione attraverso la mail campercorriere@rcs.it, il forum di Vivimilano.it e telefonando ai numeri: 02.6282.7768 e 335.6508729 un giornalista ascolterà i vostri problemi.

Fino a qui niente da dire, anzi sarò curiosa di vedere come si concretizzerà effettivamente questo nuovo progetto editoriale e se ne varrà la pena ne parlerò nuovamente.

Ora però, sarà la deformazione professionale, sarà il mio occhio un tantinello troppo critico, vorrei soffermarmi un secondo sulla creatività della pubblicità in questione. Il messaggio che vuoi comunicare è "con il nostro camper arriveremo direttamente nei quartieri milanesi per parlare con voi" e io mi chiedo "Ma proprio sui Navigli? Ma come hai fatto che ci passa a malapena la mia Seicento eheh?" 😉

Scherzo ovviamente, altrimenti dopo il post di critica sulla campagna pubblicitaria di "Inglese io Posso" sembra che io ce l’abbia con RCS (o con la sua agenzia creativa di riferimento…) … però un’altra location per la realizzazione del soggetto potevano sceglierla no?

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“Inglese Io Posso” della Gazzetta: Errore o mia malafede?

Io lavoro vicino alla stazione metropolitana di San Babila a Milano e da un paio di settimane circa vedo i muri della metro tappezzati con le pubblicità del nuovo corso di inglese della Gazzetta "Inglese IO POSSO".

I soggetti pubblicitari realizzati mi sono piaciuti, li ho trovati divertenti e chiari nel messaggio che vogliono comunicare, ossia che il corso è indirizzato ai cosiddetti beginners che vogliono smettere di fare figuracce per la loro totale ignoranza della lingua inglese. Ed è proprio l’esasperazione di questa ignoranza il tema sviluppato creativamente all’interno dei cartelloni di cui inizio a riportarvi un esempio:

Chiarissimo no? Se non conosco l’inglese, ma proprio niente niente, e sento qualcuno dire una parola che si pronuncia "Buc" potrei pensare all’italiano BUCO e non al libro BOOK che si pronuncia nello stesso modo.

In maniera analoga troviamo il soggetto "PET" che in inglese è l’animale domestico e non il petto (nel soggetto è quello di una donna ovviamente). In questo caso il termine Pet così si scrive e così si legge.

Così viene presentato il corso sul sito della Gazzetta:

I can. Se pensate al bulldog, meglio cominciare dal livello base. Se dite: “Io posso”, allora siete già sulla strada giusta. Inglese Io posso è la nuova iniziativa de La Gazzetta dello Sport per chi vuole imparare la lingua parlata da un quarto della popolazione mondiale. Un metodo facile e interattivo che si rivolge al turista stanco di esprimersi a gesti durante le vacanze, ma anche a chi l’inglese lo mastica e vuole perfezionarlo […].

 Ora voglio farvi una domanda: in questo cartellone secondo voi c’è un errore, se non di inglese diciamo di comunicazione?

Io onestamente nella parte di destra, quella dedicata all’inglese corretto, avrei messo RUN, una parola elementare che si scrive in un modo ma si pronuncia in un altro (dal punto di vista di un italiano si intende) così come è stato fatto per l’esempio di BUC/BOOK.

Quanti beginners, target a cui è rivolto il messaggio pubblicitario, sanno che RAN è il passato di RUN?

Si tratta quindi di un errore, magari anche solo di comunicazione, o sono in malafede io? 😉

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LA VITA (VIRTUALE) È UNA COSA MERAVIGLIOSA

È da un po’ che volevo riprendere il discorso sulla mia, e contemporaneamente su quella di tanti altri, “vita virtuale” perché ultimamente mi ha regalato tanti piccoli sorrisi che messi insieme sono capaci di rendere una persona serena anche nella vita “fisica”.

Stamattina ho trovato lo spunto per riprendere questa diciamo “discussione” ed è stato nel momento in cui ho letto un articolo dedicato al libro “Surrogati di presenza” di Franco La Cecla sulla rivista NetForum. L’articolo esordisce così:

“I surrogati di presenza sono quelle evanescenti parzialità che i media veicolano nella nostra vita di tutti i giorni come sostituti di una presenza reale delle cose e del mondo”.

La Cecla fa riferimento a tutti i media, telefono, radio, cinema, televisione oltre ad internet, io quando ho letto l’articolo ho accostato l’espressione “surrogati di presenza” solo ad internet ma non al media bensì agli utenti, ossia alle presenze umane che vivono al suo interno una vita parallela a quella “fisica”.

Quando ho scritto il post con l’intervista doppia tra me (fisica) e me (virtuale) volevo in qualche modo esprimere il disagio che le persone come me vivono nei confronti di coloro che ci accusano di essere legati ad un mezzo a parer loro così freddo e anti-sociale e far capire come le due identità, benchè vengano percepite come distinte, sono in realtà fortemente amalgamate tra di loro. Perché quindi una vita virtuale? Beh forse proprio perché abbiamo bisogno di “surrogati di presenza”, non ci accontentiamo di quello che ci circonda, e per quanto mi riguarda delle persone che mi circondano.

Un esempio è dato dall’ambiente lavorativo. Io lavoro in un’azienda piccola, in ufficio siamo soltanto in 5, che diventano poi 4 se consideriamo che il mio capo è spesso via. 4 persone completamente differenti tra di loro, vuoi per carattere, vuoi per formazione, vuoi per interessi personali, vuoi per ruolo professionale… fatto sta che il mio interesse ad esempio per il web 2.0, per la blogosfera, per i social media, difficilmente riesco a condiverlo con gli altri 3 e quindi che faccio? Semplice, Francesca diventa LaFra e si catapulta nella sua vita virtuale, parlando, discutendo e confrontandosi con i suoi amici senza volto (se non un avatar) e senza voce ma con tante cose in comune. Se poi ci aggiungi che queste stesse persone sono in grado di farti sorridere quando sei giù di morale e ti aiutano quando ne hai bisogno credo che basti ad evidenziarne l’importanza e con il tempo la necessità.

Surrogati di presenza o no di una cosa sono certa: LA VITA “VIRTUALE” è UNA COSA MERAVIGLIOSA.

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Gratis è bello: La Guida del Patrimonio dell’Umanità in Emilia-Romagna

Povero il mio blog, ultimamente tra impegni lavorativi e un pochino di ferie (il ponte dell’Immacolata l’ho trascorso nella mia adorata Londra) lo sto un po’ trascurando. Ci sono un sacco di cose che vorrei scrivere e segnalare e spesso i temi invecchiano e non vale più la pena parlarne.
Visto che però ciò che gratis è indubbiamente bello (come si suol dire: a caval donato non si guarda in bocca) ci tengo a segnalarvi, se ancora non lo conoscete, il progetto “Il Patrimonio dell’Umanità in Emilia Romagna” il quale

si propone la valorizzazione e promozione turistica dei siti riconosciuti dall’UNESCO nella regione ed è promosso e finanziato dall’Unione Città d’Arte dell’Emilia Romagna, dai Comuni e dalle Province di Ferrara, Modena e Ravenna, con la collaborazione di: Consorzio Ferrara Arte e Natura, Modenatur, Teodorico Holiday, Viaggi Generali e Guidarello Viaggi di Ravenna.

Ve lo segnalo per un motivo ben specifico ovviamente: sul sito è possibile richiedere gratuitamente la spedizione della GUIDA GRATUITA sulle città di Ravenna, Modena e Ferrara, realizzata nell’ambito di questo progetto

Un cofanetto e una preziosa guida con percorsi, notizie, itinerari, informazioni e occasioni per muoversi con attenzione in questi luoghi di pregio …

; è possibile scaricarla anche in formato .pdf ma io ho richiesto la spedizione (i libri e le guide se sono di carta e rilegate li preferisco eheheh) ed è arrivata in circa una settimana. Ve la consiglio perchè nonostante la sua semplicità è un prodotto editoriale ben curato e uno strumento pratico per tutti coloro che sono intenzionati a visitare queste tre città… se invece siete schizzinosi e non vi piace, beh almeno non avrete speso nulla eheheh.

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C’era una volta YouTube contro Google

Ma come? Tutti hanno parlato dell’acquisizione di YouTube da parte di Google e io parlo di rivalità tra i due??
Beh non proprio, oggi sono un po’ nostalgica e mi diverto semplicemente a ricordare i vecchi tempi, quando addirittura c’era chi metteva questi due colossi a confronto in una sorta di similrivalità come in questo articolo di Grazia della settimana del 12 settembre 2006 che ho resuscitato dalla pigna di riviste, articoli, plichi, libri, fogli volanti sparsi armonicamente sulla mia scrivania.
Sono passati solo due mesi da questo articolo, ma già mi viene da dire “Eh, ti ricordi quando YouTube non era di proprietà di Google? Bei tempi quelli” 😉

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La cucina inglese esiste!

Lo scorso weeekend sono venuti a trovarci uno dei miei cugini inglesi con la moglie e lunedì come conclusione del loro breve soggiorno abbiamo deciso di portarli alla “Taverna del Gran Sasso” per far loro gustare alcuni piatti della nostra cucina (in questo caso abruzzese).
Scherzando mio cugino ci dice che la prossima volta che andremo a Londra ci porteranno in un ristorante tipico inglese: a mangiare il curry 😉
C’è poco da ridere… anche se sono gli stessi inglesi ad autoprendersi in giro, nell’espressione “english food” non rientrano solo i piatti cinesi, tai e indiani: la cucina inglese esiste! Quando lo dico nessuno mi crede ma è così e ora due italiane, Renata Beltrami e Silvia Mazzola, residenti a Londra da diversi anni, hanno scritto e pubblicato un libro dal titolo “La lingua nel piatto. Ricette per imparare a capire l’inglese e gli inglesi“. La segnalazione è di Anna Lombardi che sul Venerdì di Repubblica del 20 ottobre spiega come negli ultimi anni nel Regno Unito sia cresciuta molto la passione per la buona tavola e il numero dei britannici che considera la cucina un hobby. Probabilmente questi risultati sono il frutto della campagna governativa per contrastare il rischio di obesità che incombe sugli inglesi per colpa del cosiddetto junk food.


Traditional English lunch
Originally uploaded by Jim in Times Square.