Dalla Big Thing alla Big Picture (Forum Ricerca e Innovazione 2009)

Venerdì mattina ho preso un treno insieme a Marco Massarotto e a Stefano Stravato diretto a Padova e più precisamente al Forum della Ricerca e dell’Innovazione.

Sono stata invitata come relatrice nella sessione La Comunicazione di prodotto e il Web 2.0.

Un’esperienza molto bella sia per la città che ho visitato per la prima volta sia per la sessione che vedeva oltre a me, Marco e Stefano anche Pepe Moder di Barilla e Frangino Lucarini di H-Art. La scelta dei relatori mi è sembrata molto ben riuscita essendo presenti rappresentanti dei principali attori della comunicazione: clienti, agenzie e media.

Il mio ruolo è stato quello di chiarire come il web 2.0 dovrebbe essere considerato come uno degli ambienti in cui le aziende si possono muovere online senza tuttavia trascurare gli altri, ossia i propri spazi come il sito corporate e i siti di prodotto, e quelli che è possibile "acquistare" come le campagne di display advertising e le partnership media.

Ho quindi sostenuto l’importanza di una visione d’insieme quando ci si relazione con internet (linko a questo proposito il secondo dei tre trend sulla comunicazione "secondo me") e la convinzione che non sia possibile innovare senza conoscere la realtà in cui si è presenti perchè si corre il rischio di "creare" qualcosa che esiste già o qualcosa di totalmente inutile.

Ho caricato la presentazione su Slideshare anche se molte considerazioni non sono presenti perchè le ho dette a voce. Ovviamente sono come sempre disponibile ad approfondire l’argomento 🙂

Fare la spesa online: la teoria del carrello sociale

Io faccio shopping online: compro libri, riviste, regali, fotografie, borse, accessori etc.

Io NON faccio la spesa online e la vivo come una lacuna personale, perché è un’esperienza che secondo me è da fare, così tanto per sapere cosa si prova eheh.

Prima o poi lo farò, ma dove? Chiediamo.

Martedì 27 ho lanciato il sasso con questo messaggio

“C’è qualcuno che fa la spesa online? Se sì dove? […]”

che ha aggiornato automaticamente il mio status su Twitter, su Facebook e su Friendfeed.

Ho ricevuto 27 risposte e oltre il 75% di queste era per il servizio di spesa online con consegna a domicilio di Esselunga, anche conosciuto come Clicca il Pomodoro.

Mi hanno piacevolmente sorpreso i toni entusiastici di alcuni dei partecipanti a questo similsondaggio

“esselunga è uno spettacolo”

“Esselungaacasa, mai più senza”

“Esselunga. La uso da anni. “

“Ho convertito un sacco di gente a clicca il pomodoro che potrei chiedere una percentuale o per lo meno la consegna gratis a vita ;)”

e la mia deformazione professionale mi ha portato subito a chiedermi “ma Esselunga sarà a conoscenza della presenza di così tanti "brand lovers" online?”.

Beh il motivo per cui ora sto scrivendo questo post è perché la deformazione mi ha portato oltre.

Quando la conversazione su Friendfeed si è spostata sul ruolo sociale della spesa online

Fare la spesa live a Milano il sabato mattina o la sera dopo le 17 non è divertente per nulla… Anche se sbirciare nei carrelli altrui facendosi i viaggi su cosa cucineranno, come, e per quante persone è un divertimento semplice che un po’ mi manca 😉 Quanto sarei curiosa di vedere il carello de LaFra! Potrei anche un po’ immaginarmelo! 😉

dovremmo, peraltro, parlare della mitica Esselunga a due passi da San Vittore (quella piena di single), così come il piccolo Conad in Corso Buenos Aires, altro luogo di single che incrociano sguardi e carrelli. A Torino l’equivalente è il PAM del Lingotto, di fronte a Eataly, valido sostituto di un bar per single. Perché cercare l’anima gemella in disco se puoi farlo mentre compri i biscotti? 🙂 (peraltro dall’osservazione dei carrelli è possibile capire molto di una persona: cioè, io diffiderei di una con una borsa piena di prodotti light, di Activia, ecc.) 🙂

nooo ancora con la leggenda metropolitana dell’esselunga di viale papiniano = luogo di acchiappo??? maddai. mai incrociato niente di notevole (ehm, aaanni fa, ma la leggenda già c’era …)

è scattata nella mia testolina l’idea di una trasposizione digitale di alcune dinamiche relazionali del supermercato.

Ho immaginato un social network dove le persone condividono il proprio carrello della spesa digitale.

Se ad esempio Esselunga integrasse questo servizio di “spesa sharing” direttamente nella propria piattaforma di e-commerce (o rendesse esportabile i dati) il procedimento di creazione del carrello sarebbe immediato perchè non sarebbe necessario aggiungere uno ad uno gli items (tipo come avviene su Anobii per l’aggiunta dei libri… anche se la collaborazione tra Anobii e IBS potrebbe parzialmente automatizzare la creazione della propria libreria virtuale). I possessori di Fidaty Card potrebbero creare velocemente il proprio carrello virtuale anche se fare la spesa online.

Piuttosto prevederei l’opzione di non rendere visibili alcuni elementi perchè se è vero che dal carrello di una persona si possono fare delle considerazioni sul suo conto, alcune cose è meglio non farle sapere ;-).

A cosa servirebbe il social carrello? Vediamo qualche esempio:

  • voglio comprare un ragout pronto: vediamo se i miei amici preferiscono barilla o star e chiedo consiglio
  • ho un blog di cucina: posso inserire il widget del mio carrello per far vedere cosa compro
  • scrivo una ricetta sul mio blog: creo il sacchetto della spesa virtuale con tutti gli ingredienti e lo embeddo nel post così i miei lettori possono aggiungere direttamente tutti gli ingredienti nel proprio carrello
  • convivo con una persona: posso chiederle di segnalarmi i prodotti che vorebbe inserire nella prossima spesa

Questi sono i primi esempi che mi sono venuti in mente ma ce ne sono sicuramente tanti altri.

Ma perchè investire in un’operazione di questo tipo? Io azienda cosa ricavo?

Beh se fosse la stessa Esselunga a integrare nel proprio sistema di e-commerce un sistema di questo tipo avrebbe a disposizione uno strumento davvero potente:

  • la creazione di un legame forte con i propri clienti che andrebbe a ridurre le possibilità di tradire "clicca il pomodoro" con altri servizi di spesa online
  • l’arricchimento del proprio database con dati di natura relazionale e motivazionale
  • la possibilità di dar vita a promozioni ad hoc, magari tenendo conto dell’ampiezza del network del proprio cliente e delle relative opportunità di viralizzazione

Se invece dovesse nascere un Anobii della spesa consiglierei comunque alle varie Esselunga, Coop, Bofrost etc di permettere l’accesso in lettura al proprio database perchè le opportunità descritte prima sarebbero comunque replicabili anche se con un minor controllo e con la minaccia di azioni da parte dei competitors.

Cosa ne pensate? Idea folle? Esiste già qualcosa di questo tipo? (ammetto di non aver fatto ancora ricerche in questo senso)

Trends della comunicazione (secondo me): 2. Presenza Online

(1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand)

2. Costruzione della presenza online di un brand

Se ripenso alla mia esperienza personale fino ad oggi mi vengono in mente esclamazioni e affermazioni appartenenti a periodi diversi rappresentative del pensiero comune sul ruolo di internet per le aziende in quel momento.

Per semplificare al minimo ridurrò questa evoluzione a quattro fasi, che presentano ovviamente ampi margini di sovrapposizione tra di loro, al solo scopo di evidenziarne il macrotrend.

Devi farti il sito!

Fino a qualche anno fa (ma la cosa preoccupante è che in molti la pensano ancora così) internet per le aziende era semplicemente “il sito”. Le web agencies e i freelance sfornavano un sito dopo l’altro, acquistavano domini come fossero pacchetti di sigarette, si faceva a gara tra chi trovava l’accostamento di colori più accattivante, l’immagine in homepage più evocativa e simbolica, il menù di navigazione più articolato o “creativo”. Il grafico all’inizio era l’htmlista, poi il flashista fino ad arrivare a richiedere skills di programmazione per ottenere determinati effetti durante la navigazione.

Hai visto il mio banner?

Il numero di siti cresce e le probabilità di essere visitato dagli utenti si riducono notevolmente, diventa quindi forte l’esigenza di creare dei punti di collegamento visibili tra i siti più visitati, in particolare i portali, e i sitarelli aziendali, siano essi corporate o di prodotto: la soluzione sono i banner. Piccoli, grandi, grafici o testuali, statici o che lampeggiano, diventa impensabile “andare su internet” senza almeno un bannerino.

Il SEO è il futuro!

Cosa li fai a fare i banner che tanto non te li clicca nessuno? Devi essere nei primi tre risultati di google se vuoi che qualcuno venga sul tuo sito”: il search è la panacea di tutti i web-mali. è la corsa all’oro, o meglio alle parole chiave dorate, si snocciolano sigle come SEO, SERP, PR, se non sei sulla prima pagina di Google non sei nessuno.

Ce l’hai la pagina su MySpace?

E venne il momento dei social network. Il concetto chiave che inizia a diffondersi sulle bocche dei web strategists di tutto il mondo è: se vuoi raggiungere il tuo target devi essere lì dove sono loro, ossia negli ambienti digitali dove trascorrono gran parte del loro tempo online insieme al proprio “network” (amici, familiari, colleghi, appassionati, etc). E questo concetto si spinge verso il “devi entrare a far parte di quel network“, come se questo ingresso fosse possibile per ogni brand, azienda, prodotto, sito, servizio, testimonial, etc.

La descrizione delle 4 fasi è volutamente esagerata e approssimativa, cerco di condividere un pensiero per esprimere il mio punto di vista su questo fenomeno.

Avrei dovuto inserire nel passaggio da una fase all’altra di questa evoluzione anche esclamazioni come “il sito (il destination website) è morto”, “il banner è morto”, “il blog è morto”, “second life è morto”, etc, sembra che dichiarare la morte di qualcosa o qualcuno da qualche anno a questa parte sia diventata una moda (speriamo non un trend).

Si è sempre alla ricerca della next BIG THING.

Tornando alle fasi , possiamo dire che l’interesse del mercato si è spostato dagli owned media, siti di proprietà interamente gestibili dal proprietario (owner), ai bought media, spazi sui siti a largo traffico che è possibile acquistare, fino ad arrivare agli earned media, ambienti online dove il posto ma soprattutto il consenso da parte degli utenti te li devi diciamo guadagnare.

presenzaonline

Non so quale sarà la next big thing, ma sinceramente mi interessa relativamente, sono molto più affascinata dalla big picture.

Mi spiego.

Ho l’impressione che la continua ricerca di ciò che nel prossimo futuro sarà il nuovo hype faccia perdere di vista quello che in rete c’è già, perchè la cosiddetta rete è più viva che mai. Cercare di capire come le persone usano la rete, quali spazi privilegiano, quali motivazioni li spingono ad usare un servizio piuttosto che un altro, di cosa parlano, cosa e chi cercano, è secondo me una sfida ben più stimolante del capire cosa si intende per web 3.0.

Per quanto mi riguarda il mio impegno verso la comprensione di come costruire o sviluppare la presenza online di un brand, di un’azienda, di un ente, di un amico etc. partirà da qui.

Costruzione della presenza online di un brand (2/2)

La corretta valutazione della propria presenza online dovrebbe partire dalla definizione del ruolo che dovrebbero avere le tre categorie di online media, e questo non vuol dire che sia necessario investire tempo e risorse in tutte e tre le categorie ma ignorarne una per concentrarsi esclusivamente su un’altra (ad esempio non curare il proprio sito per dedicarsi interamente alla propria fan page su Facebook) è un errore.

Possiamo ad esempio guidare l’utente attraverso un percorso che lo agevoli nella ricerca di informazioni sul proprio prodotto (spot in tv con link del product site, presidio delle keyword relative al copy dello spot sui motori, “infiltration” – che sconsiglio – nei forum per parlare del sito, etc) ma dobbiamo aspettarci che ogni utente decida autonomamente, volontariamente o meno, di seguire un percorso personalizzato, ed essere pronti ad agire di conseguenza attraverso un’attenzione costante a tutta la torta non solo ad una fetta.

Va bene mi sono dilungata un po’ troppo (strano eh?) ma questo secondo trend è quello a cui tengo di più 🙂

Cosa ne pensate? I miei orridi grafici vi hanno fatto chiudere la finestra/tab prima di arrivare qui?

(3. Digitalizzazione dell’universo media)

AGGIORNAMENTO

I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.

 

Alla ricerca del filtro informativo perfetto: editoriale, sociale o tecnologico?

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni che ho fatto in merito a come si sono evolute le modalita’ di accesso alle informazioni nel tempo, con un riferimento particolare ai feed rss.

I feed rss per me, come per molti di voi ne sono certa, sono una droga. Spesso mi trovo a spiegarne la natura e l’utilizzo ad amici e colleghi e per farlo consiglio sempre di guardare (o mostro direttamente) il video realizzato dai quei geniacci di Commoncraft.

In sintesi il buon leelefever nel 2007 ci spiegava che c’e’ un modo vecchio e lento di accedere alle informazioni (the OLD and Slow Way) e ce n’e’ uno invece nuovo e veloce (The NEW and Fast Way).

Il modo vecchio e’ andare su ogni singolo sito e blog per controllare se ci sono novita’.

 

Il modo nuovo e’ invertire questo procedimento e lasciare che siano le novita’ a venire da te.

Questa inversione e’ fattibile ovviamente grazie alla possibilita’ di ricevere i nuovi articoli e i nuovi post sotto forma di feed rss in un aggregatore, nel mio caso Google Reader.

Ora non so voi, ma se io fossi l’omino disegnato da Commoncraft potrei essere rappresentata cosi:

Avevano ragione quelli di Commoncraft, i feed rss danno dipendenza, arrivi ad aggiungere talmente tanti siti e blog nel tuo aggregatore che e’ umanamente impossibile seguirli tutti. 

E qui vi volevo portare: nasce l’esigenza di un filtro informativo. 

A mio avviso esistono tre macrocategorie di filtri informativi: editoriale, sociale e tecnologico.

FILTRO EDITORIALE

Lasciamo che sia una struttura editoriale a filtrare le notizie più rilevanti e ci fidiamo della loro capacità di scansionare le diverse risorse e di scelta.

Il filtro editoriale, un filtro diciamo "dall’alto", e’ in un certo senso l’attivita’ che e’ storicamente alla base del concetto di pianificazione editoriale, di creazione del palinsesto, dei mass media, se non fosse che le fonti consultate oggetto del filtraggio sono spesso le stesse. E’ anche un’attività a volte offerta come servizio aggiuntivo rispetto alla sola rassegna stampa da parte degli uffici stampa o delle società di pubbliche relazioni.

In questo contesto specifico tuttavia preferisco pensare ad una struttura editoriale piu’ "web oriented" che seleziona le risorse della rete per noi potenzialmente piu interessanti. 

Un esempio potrebbe essere Techmeme e l’italiano Memesphere che "aggrega e analizza migliaia di feed provenienti da blog e da altre fonti web e fornisce ogni giorno la fotografia delle conversazioni e dei concetti più citati dal popolo della rete italiano, ma anche dai media mainstream".

FILTRO SOCIALE

Lasciamo che sia l’aggregazione delle scelte e delle segnalazioni del nostro network sociale a far emergere le novità e gli interventi più interessanti. Faccio specifico riferimento al nostro network personale e non al network generale per due motivi: da una parte perche’ voglio focalizzarmi sul ruolo attivo dell’dell’utente nella scelta di chi (o come vedremo dopo di cosa) "fidarsi" per il filtraggio delle informazioni, dall’altra perche’ siti come digg, come oknotizie e come delicious hanno acquisito con il tempo un ruolo diverso, di siti di ricerca, ma credo che sia meglio rimandarne l’approfondimento in un altro post (di riflessione sulle riflessioni di questo 😉 ).

Alcuni esempi possono essere:

  • Google Reader shared item l’area del tuo Google Reader dove e’ possibile visionare i feed che i tuoi contatti hanno deciso di condividere perche’ considerati piu’ interessanti.
  • delicious.com/network: i links salvati su delicious dai contatti inseriti nel nostro network.
  • Friendfeed: Friendfeed per chi ancora non lo conoscesse (attenzione perche’ e’ giudicato il nuovo Twitter) può essere considerato un servizio di lifestreaming alla stessa stregua di Profilactic ma con una sostanziale differenza che a mio avviso e’ uno dei fattori ne sta decretando il successo: tutto è non solo "likabile" (è possibile contrassegnare i feed interessanti con un "like") ma commentabile; il commento ha la sua importanza in quanto ogni qualvolta un elemento viene commentato in automatico viene riportato in cima alla lista tanto che in alcune occasioni si parla di spam quando i commenti sono talmente numerosi da riportare in cima lo stesso feed più volte. Io sono diventata una friendfeed addicted e quando un feed è fortemente "likato" e commentato mi viene la curiosità di andare a vedere di cosa si tratta.

In contrapposizione al filtro editoriale "dall’alto" potremmo definire il filtro sociale "dal basso"

FILTRO TECNOLOGICO

Il filtro "dal mezzo" (scusate la freddura). Ci affidiamo a filtri automatici, a servizi che o all’interno del nostro reader (ad es. AideRSS con il Postrank) o all’esterno in una pagina web dedicata, selezionano i feed per noi potenzialmente interessanti, sulla base del nostro comportamento (es. Feedhub), dell’interesse mostrato nei loro confronti da altri (nel caso di Postrank si parla di audience engagagement ), o sulla base di keywords da noi segnalate (ad es. FeedRinse).

A questo proposito vi invito a leggere il post di ReadWriteWeb che ha anche ispirato queste mie riflessioni in cui vengono descritti diversi servizi che consentono di filtrare i feed rss tra cui quelli che ho citato.

In questo particolare filtro entra inoltre in scena il tanto discusso e atteso Semantic Web considerato il futuro del Web (il Web 3.0?). Io sono d’accordo con il commento di un lettore di ReadWriteWeb al post "What’s Next After Web 2.0

If Web 1.0 was about Read and Web 2.0 was about Read/Write, then Web 3.0 should be about Read/Write/Understand

Ma sono d’accordo a prescindere dal web semantico.

"(to) Undestand" e’ la vera skill del futuro, sembra scontato ma non lo e’.

Pensiamo ad esempio al web: quanti siti/blog riportarno i fatti e quanti li spiegano? Quanti capiscono veramente quello che stanno scrivendo? Quanti si soffermano sulle parole prima di gettarle in un post? Una persona e’ ovviamente libera di decidere cosa fare del proprio blog o del proprio sito come meglio crede ma se vuole distinguersi, se vuole essere seguito e apprezzato dovra’ sempre di piu’ a mio avviso placare quella crescente sete di "Understanding" che gli utenti hanno.

E per quanto mi riguarda dietro a questi utenti si muovono aziende ed enti pubblici e privati desiderosi di capire cosa sta succedendo e che a volte difficilmente possono riuscirci attraverso la sola lettura dei propri innumerevoli feed.

E qui per ora chiudo ma solo per ora 🙂

Voi cosa ne pensate?

Pizza Hut (o Pasta Hut?) su Facebook

Ho letto un paio di giorni fa che Pizza Hut ha esteso le possibilita’ di “order online” anche a Facebook integrando all’interno della sua brand page il sistema di prenotazione e/o acquisto.

Non mi sorprende, Pizza Hut aveva gia’ attivato tutta una serie di canali e Facebook non poteva mancare per due motivi:

  • La brand page conta piu’ di 300.000 iscritti (314.055 in questo momento), anche se non so in percentuale quanti di questi possono davvero usufruire del servizio visto che pur essendo un brand globale non e’ "distribuita" ovunque
  • L’obiettivo di Pizza Hut e’ "Any way they want to order from us, we’ll be there for them” Ipoteticamente a prescindere dal numero di ordini effettuato attraverso quel determinato a canale.

Per aumentare il numero di fans Pizza Hut ha lanciato "Lotta Pizza Lotto" : qualunque utente decida di diventare fan di Pizza Hut prima della fine dell’anno puo’ vincere ogni settimana una gift card di 50 dollari.

L’aspetto che trovo potenzialmente interessante in questa notizia e’ che Pizza Hut non e’ ovviamente l’unico retailer a decidere di utilizzare Facebook come strumento di comunicazione e/o vendita.

Secondo un recente studio di Rosetta, agenzia di interactive marketing, il 59% dei retailer US ha una fan page su Facebook

Rosetta found that 29 of the retailers surveyed had added a Facebook page in the past four months, including Wal-Mart, Toys R Us, Best Buy and Kohl’s. Rosetta suggests that the sharp increase means Facebook and retailers have reached a so-called tipping point, with the pages soon becoming de rigueur.

In Italia come siamo messi? Ci sono segnali che fanno pensare che anche il nostro retailing possa andare in questa direzione?

Per concludere: il titolo fa riferimento alla recente comunicazione da parte di Pizza Hut di cambiare il proprio brand in Pasta Hut allo scopo di attrarre anche la clientela piu’ salutista. Passato lo shock iniziale (ho fotografato anche la freepress con la campagna stampa sul treno) mi sono fermata a pensarci su ipotizzando che possa trattarsi di un’abile mossa mediatica e dando una lettura in giro ai vari articoli / post sul tema non sono la sola.

Pizza Hut diventa Pasta Hut?

In questo post ad esempio si discute sulla scelta di Pizza Hut di lanciare un sondaggio sul sito volto a testare l’opinione dei fan: restare Pizza Hut o diventare Pasta Hut? Qualche giorno fa ho partecipato e questi erano i risultati.

Pasta Hut daily poll (17 October 2008)

I risultati purtroppo sono giornalieri quindi decisamente non rappresentativi del pensiero comune. Teoricamente per sapere il totalone e’ necessario iscriversi ad un concorso: FATTO?! (alla Art Attack) . Io si’, vediamo se me li mandano.

Comunque il dubbio relativo a questa iniziativa e’ ovviamente questo: perche’ lanciare un sondaggio se la decisione e’ gia’ stata presa?

Comunque da un punto di vista comunicazionale l’operazione mi sembra molto ben riuscita, mi ricorda molto il "Whopper Freak Out" di Burger King il cui obiettivo era sostanzialmente "make them show their love" ossia lascia che i tuoi brand lovers dimostrino quanto amano i tuoi prodotti portandoglieli via. Date un’occhiata al numero di "discussioni" aperte sul tema "Pasta Hut" su Yahoo Answers tanto per fare un esempio.

Voi cosa ne pensate?

Banner verso la socialità: gli “Engagement Ads” di Facebook

Uno dei post piu’ interessanti che ho letto in questo ultimo periodo e’ la teoria del banner sociale. Credo di aver gia’ fatto mille complimenti a gianluca per averlo scritto ma non credo che 1000+1 facciano molta differenza.

Come spesso succede i post migliori sono quelli accompagnati da un altrettanto stimolante confronto nei commenti e nelle reazioni scatenate nella blogosfera. In sintesi la premessa del post e’ che nonostante internet sia in continua evoluzione c’e’ un particolare elemento del web che non ha subito particolari variazioni con il tempo ed e’ appunto il banner.

Tutti parlano di sharing, la parola “social” spunta da ogni dove, tranne che nell’adv online, il banner in sostanza non ha nessuna caratteristica intrinseca della “socialita’ digitale”: non ha un permalink che consenta di condividerlo in Facebook o su Twitter, o un feed salvabile nei preferiti, in del.icio.us o nel mio Google Notebook; non ti mette in contatto con gli altri che lo hanno cliccato e che evidentemente lo hanno ritenuto interessante, non vuole essere commentato e nemmeno “marcato” positivamente (nessun bottone “like” o stellina per segnalarne il gradimento)

Grazie ai commenti e’ stato tuttavia possibile individuare i primi segnali di socialita’ nell’adv online:

L’idea di Avanoo e’ molto semplice: display ads for charity. L’utente clicca sul banner dello sponsor e viene reindirizzato ad una pagina dove e’ possibile avere informazioni sull’associazione no profit che lo sponsor sostiene e che lo stesso utente ha contribuito in minima parte a supportare grazie a quel click. Praticamente Avanoo ha ripreso l’idea di diverse iniziative noprofit tra le quali ad esempio the hunger site e the breast cancer site ma l’ha "esternalizzata".

La mia perplessita’ tuttavia e’ questa: quanto e’ efficace per lo sponsor quel click visto che nel 99% dei casi sara’ legato a motivazioni non riconducibili al suo brand e/o a suoi prodotti? L’iniziativa in se’ e’ ovviamente positiva, un altro modo per supportare le associazioni no profit non e’ mai un male anzi, ma da un punto di vista markettaro non mi viene in mente un motivo valido per cui proporre un’attivita’ di comunicazione di questo tipo. Se un’azienda decide di supportare un’associazione noprofit ha sicuramente a disposizione modalita’ molto piu’ stimolanti e coerenti vero Paolo?)

(In ogni caso, ad esclusione dell’articolo linkato, non ne ho sentito parlare, quindi non escludo che non sia stato un gran successo).

Spongecell invece ha sostituito il classico banner con un mini-event planning widget, ossia un widget al cui interno e’ presente l’invito ad un evento che e’ possibile aggiungere direttamente a diversi calendari online e nella sezione eventi del proprio profilo su Facebook o inoltrare ad un amico. All’interno della galleria del loro sito sono presenti diversi esempi.

Spongecell Rich Media Ads - Gallery

Un’idea semplice, utile, focalizzata ma anche facilmente replicabile.

Arriviamo infine a chi sta facendo la parte del leone in questa evoluzione del banner verso una maggiore "socialita’": Facebook con i suoi Engagement Ads. Il famoso social network ha deciso di integrare la propria offerta pubblicitaria con tre nuove proposte:

1) Comment Style Ad: Gli utenti possono commentare all’interno dello spazio pubblicitario, ad esempio possono lasciare commenti ad un trailer cinematografico . L’adozione di questo formato e’ consigliato ai Brand di entertainment e ai brand che vogliono lanciare nuovi prodotti. Il commento dell’utente sara’ visibile nel newsfeed dei suoi amici, garantendone quindi la visibilita’.

2) Virtual Gifts Style Ad: I brand possono mettere a disposizione degli utenti dei regali virtuali che gli stessi possono donare ai loro amici. Avevo gia’ notato questa modalita’ di advertisement per il lancio del film sex & city. Ho provato a guardare la scelta dei regali gratuiti al momento disponibili e non c’e’ un granche’.

Da una parte il sistema potrebbe funzionare, mi ricorda molto il concetto dei pacchetti sponsorizzati di windows live messenger, ma credo che avrebbe comunque vita breve in quanto, al contrario di messenger, ogni giorno su Facebook nascono nuove applicazioni che possono attrarre l’attenzione degli utenti.

3) Fan Style Ad: Come gia’ succede gli utenti hanno la possibilita’ di dichiarare il loro amore per un brand o per un prodotto diventandone pubblicamente fan.

Jeremiah Owyang ha scritto un post decisamente esaustivo sull’argomento facendo anche chiarezza su come e’ strutturata l’intera offerta pubblicitaria di Facebook e sul perche’ l’adv "tradizionale" su Facebook non funziona. Per quanto mi riguarda mi ero soffermata anch’io recentemente sul tema dell’inefficacia dell’advertising nei social network

Se sono all’interno di un social network difficilmente cliccherò su un banner/messaggio pubblicitario che mi porterà in un altro sito allontanandomi dal luogo virtuale in cui mi ritrovo, è come se fossi in un pub e per provare una birra diversa da quella che bevo solitamente dovessi uscire e recarmi in una nuova discoteca, magari bellissima ma dove non conosco nessuno e non mi sento altrettanto a mio agio: non sarebbe meglio farmela bere nel mio solito amato pub insieme ai miei amici?

Gli engagement ads cercano di superare questi limiti creando spazi per i brand negli stessi contesti familiari agli utenti che non sono costretti ad abbandonare il social network per piombare in un minisito sconosciuto.

Ho provato a rifletterci un po’ per capire se questa evoluzione puo’ avere successo, potra’ diventare la killer application del mercato pubblicitario o meno e per il momento sono scettica perche’ a mio avviso bisogna necessariamente fare un passetto in piu’ e soffermarsi sulla motivazione che lega gli utenti a quel determinato social network.

Riprendiamo l’esempio del pub: finalmente il brand della situazione (alias il responsabile della comunicazione o simili) ha capito che per dialogare con il suo consumatore non deve cercare di portarlo nella sua straordinaria discoteca a tutti i costi ma e’ meglio provare ad approcciarlo li’ nell’ambiente in cui si trova piu’ a suo agio, dove ci sono i suoi amici. E ora? Come inizia la conversazione? Ha qualcosa di effettivamente interessante da dire? Come puo’ catturare l’attenzione? Piacera’ ai suoi amici? Quest’ultima domanda in particolare diventa a mio avviso una leva estremamente importante per i brand in questi contesti: perche’ non creare strumenti che sfruttino davvero il lato "social" di questi network?

Prendiamo ad esempio l’uscita di un nuovo film (in questo momento mi viene in mente Kung Fu Panda visto il numero di messaggi e di fans che ho visto all’interno della pagina dedicata). Facebook ti propone il trailer e tutta una serie di altri gadget digitali: tu puoi commentare il trailer e far si che i tuoi amici lo vengano a sapere. Pensate alla possibilita’ per questo utente di organizzare ad esempio una "gita" al cinema garantendo uno sconto sul biglietto a tutti i suoi amici. Ho l’impressione che i suoi amici apprezzerebbero di piu’ e Facebook ha tutti gli strumenti e la tecnologia necessaria per mettere in piedi un sistema in grado di consentire questo genere di interazione tra utenti.

Ci sono una marea di informazioni su ciascun utente in Facebook, pensiamo ad esempio a quelle relative ai viaggi soggetto delle gallerie fotografiche e alle opportunita per il settore turistico; ora non so quali siano le limitazioni relative all’utilizzo degli stessi ma sono sicura che c’e’ un potenziale comunicativo inespresso. Voi cosa ne pensate?

PS Sono molto invidiosa nel pensare che molti di voi sviscereranno l’argomento insieme a gianluca all’ADVcamp del prossimo weekend a cui purtroppo non riusciro’ a partecipare. Sigh.

 

AGGIORNAMENTO 9 SETTEMBRE

Vi segnalo il case study di Mars descritto da Andrea sempre relativo ad un uso "social" di Facebook grazie anche al coinvolgimento del canale SMS.

Cannes Lions 2008: la mia Muxtape!

Siete già stufi di sentirmi parlare di Cannes?

Spero di no perchè ho ancora un sacco di cose da raccontarvi 🙂

Intanto vi lascio con la Muxtape "Memories of a Young Lions".

Muxtape: Memories of a Young Lion
 
La prima canzone è quella del video di presentazione della competition, trasmesso anche durante la cerimonia di premiazione, disponibile sul sito ufficiale e accessibile purtroppo solo registrandosi (la registrazione è gratuita).
 
Mi è piaciuta un sacco 🙂 e il video è un fiume di ricordi! Ci sono tutti i partecipanti!
 

Deviazioni mentali 2.0

Stamattina ho letto un articoletto su MAG Metropolitan Active Generation di Metro e mi sono trovata a sorridere. Ho deciso di scrivervi perchè, magari faccio sorridere anche voi.

780 mila siti porno in soli nove mesi

 

A tanti è riuscito a collegarsi dal computer dell’ufficio un impiegato comunale della città giapponese di Kinokawa. In pratica una media di 10 mila pagine al giorno, venti al minuto. L’impiegato non è stato licenziato. Ma pare sia diventato cieco.

Il mio primo pensiero è stato:

"pensa se avesse un del.icio.us, lo adorerebbero"

Non è che troppo "2.0" mi faccia male?

Differenze tra Social Network, Community e Forum (SlidePost)

Non so è una buona idea ma invece di scrivere un lunghissimo post con alcune considerazioni che ho fatto sulle differenze che esistono tra i concetti di "Social Network", "Community" e "Forum" in Italia ho buttato tutto in un powerpoint e l’ho caricato su slideshare.

 

[UPDATE: La presentazione è poco leggibile così, meglio il DOWNLOAD]

Ci tengo quindi a sottolineare che non si tratta di una "presentazione" in senso stretto ma di un tentativo di mettere ordine ad un post che altrimenti sarebbe stato lunghissimo e difficile da seguire.

Come ho scritto nell’ultima slide questo non è un documento "definitivo", mi piacerebbe raccogliere un po’ di spunti di vista per arricchirlo con nuovi spunti e considerazioni.

Che ne dite?

 

Dagli UGC ai VC2: Current arriva in Italia

Ieri sono andata anch’io a Roma per “incontrare” Al Gore all’evento di lancio della sua Current TV in Italia. Dico anch’io perchè sono stati davvero tantissimi i blogger che si sono presentati fuori dal Teatro Ambra Jovinelli dalle 13:30 in poi per accreditarsi.

Visione di un "pod" italiano
 
E tantissimi sono i post / foto / video già pubblicati in rete da parte di coloro che hanno partecipato. Mi servirò di estratti di qualcuno per raccontare il mio "punto di vista" sull’evento (così nel frattempo vi segnalo qualche risorsa interessante per approfondire l’argomento con altri punti di vista).
 
Perchè tanto buzz?
 
Forse è meglio fare una piccola premessa partendo dal principio: Cos’è Current?
Sintetizzo il trafiletto "su Current" presente nel comunicato stampa: Current è il primo canale che integra pienamente televisione e internet in una piattaforma attiva 24 ore su 24 […] unendo il giornalismo alla partecipazione dello spettatore; si rivolge ai giovani adulti ed è attualmente visibile negli Stati Uniti e in Inghilterra in oltre 51 milioni di case […]
 
…integra pienamente televisione e internet… Current è un canale televisivo con un suo palinsesto e un sito internet.
unendo il giornalismo alla partecipazione dello spettatore… il 30% circa del palinsesto sarà costituito da filmati creati dagli utenti e caricati nel sito di Current. In più i filmati trasmessi in televisione, che Current chiama POD,  saranno decisi sulla base delle votazioni espresse dagli utenti sempre sul sito internet.
si rivolge ai giovani adulti… è un target di persone dai 18 ai 34 anni definito in questo modo per esaltarne la maturità che spesso non viene riconosciuta, soprattutto nella fascia più giovane.
e con l’aggiunta del canale 130 di Sky Italia…  Current ha stretto un accordo con Sky che trasmetterà il palinsesto in un canale dedicato.

Credo che a questo punto la risposta alla domanda l’avrete già trovata da soli: non siamo di fronte ad una nuova web tv o ad un clone di YouTube, ma ad un nuovo modo di fare televisione che cerca di coniugare l’autenticità degli user-generated contents, con la qualità e la continuità di una produzione televisiva.

Proprio per questo motivo non si è mai parlato di UGC bensì di VC2 (il 2 in realtà è alla seconda) ossia di Viewer-Created Contents, ossia i video creati dagli spettatori creati in modo da mostrare il proprio singolare punto di vista.

[stefano vitta]

come mi ha sottolineato Tommaso, il primo obiettivo di Current non sarà solo quello di offrire spazio e tools, ma di permettere agli utenti di usare tali strumenti con perizia. Ne è un esempio l’area training (link quella in inglese visto che quella italiana è “in arrivo”) dove trovare veri e propri manuali per creare al meglio i propri video e risorse come librerie musicali libere da vincoli di copyright

A questo proposito aggiungo che nella cartella stampa consegnata ai blogger era presente anche un documento intitolato "Sviluppo e Realizzazione dei Pod – le cose da sapere prima di cimentarsi".

[orazio tassone]

Saranno evitati i soliti gattini e video amatoriali di bassa qualità (almeno questa è la promessa)

Al Gore ha sottolineato come in molti riconoscano la presenza in Current di contenuti video di qualità. La qualità è quindi sempre di più un requisito indispensabile per far emergere un contenuto autoprodotto e lo user-generated content in quanto tale non è più così appealing come un tempo, ma su questo tornerò magari più avanti.
 
Perchè Al Gore?
 
Current TV per chi non lo sapesse è un’emittente televisiva indipendente guidata dall’ex vice presidente USA Al Gore e dall’imprenditore Joel Hyatt. La TV andò in onda per la prima volta a mezzanotte del 1 agosto 2005. Una seconda rete, attiva nel Regno Unito e in Irlanda è operativa da marzo 2007 tramite la piattaforma Virgin Media (tratto da Wikipedia, che è stato già aggiornato con la novità del lancio in Italia).

Al Gore crede fermamente che Current sia una manifestazione di democrazia, valore in cui crede molto e che ha ripetuto più volte nella giornata di ieri.

[isayblog]

Parla di libertà, Al Gore, di democrazia, pluralismo, di nuova chance. Queste le parole che ritornano, quasi come un’ossessione. Un’ossessione cui tutti i presenti in sala sembrerebbero volerci credere.

[ecoblog]

Current è stata fatta per dare respiro alla democrazia. Se sempre più persone si informano, diventeranno una maggioranza, e i governi dovranno poi tenerne conto

 

 

Perchè l’Italia?

Al Gore sostiene che l’Italia sia un paese con una grande tradizione creativa, soprattutto nel campo cinematografico, e che ci sono talenti inespressi.

 

Perchè Sky?

Ce lo spiega Al:

[tvblog]

Ringrazio Sky per l’apertura che ha dimostrato nei nostri confronti. Nelle trattative che abbiamo avuto con Sky per Current non c’è mai stato nessun tentativo di controllarci. E io non ho nessun filo che lega i miei movimenti. Manderemo in onda tutto quello che riterremo giusto, non subiremo condizionamenti da governi o corporation. Nessuno ci impedirà di mandare in onda qualche cosa che abbiamo deciso di trasmettere. E poi è meglio fare bancarotta e chiudere piuttosto che piegare la schiena

Personalmente ho trovato questa uscita sulla bancarotta un po’ eccessiva, però bisogna riconoscere che Al è pur sempre un politico (anche se "ex") americano.

 

Perchè i Blogger?

Le organizzatirici dell’evento forse se lo stanno ancora chiedendo, non siamo affatto un pubblico facile, ma l’idea era ovviamente quello di colpire quel target di utenti che da un parte possono partecipare attivamente attraverso la produzione dei contenuti dall’altra possono segnalare Current ad altri utenti e invogliarli a vederla e a votare i POD sul sito internet.

Come ha spiegato Al Gore l’obiettivo di Current è quello di migliorare continuamente la qualità dei propri contenuti e l’aumento della qualità è proporzionale all’aumento dell’utenza/audience.
Per non parlare ovviamente della visibilità mediatica che la blogosfera è stata in grado di generare attorno all’evento, prima, dopo e durante!
 
Perchè i Giovani Adulti?
Come vi dicevo prima il target a cui si rivolge Current è quello dei Giovani Adulti 18-34 anni. Molto sensata la domanda di Kay Rush in merito alla fascia di età stabilita: "E noi?".
Oggi Kay ha ripreso l’argomento sul suo blog:

L’aspetto che mi ha lasciato più perplesso è stato quello del limite d’età a chi può inserire materiali […] Voglio dire, una TV libera però indirizzata solo alle persone tra 18-34? Prima di tutto, non mi piacciono i limiti in internet, poi, quella fascia d’età significa una cosa negli Stati Uniti ed un’altra qui in Italia. Negli States, una persona esce di casa a 18 anni ed è già un adulto in tutti sensi. Lo sappiamo che in Italia non è così, voglio dire, 18-34 in America è come 30-44 qui. Comunque, ripeto, sono contraria a questi limiti inutili. Lui ha risposto che non era un vero limite, che era solo per creare qualcosa per i giovani, bla bla bla però alla fine, è così: una televisione in internet creata e gestita da gente over 34 (anche Tommaso Tessarolo, che è il direttore di Current TV Italia ne ha 35) per ragazzi tra i 18 – 34. Mah

Sono d’accordo con lei.

 

Perchè Robin Good è rimasto fuori ad aspettare?

Non era d’accordo con la modalità scelta per porre le domande ad Al Gore. Le domande sono state poste nei giorni precedenti sul sito di Current. Le 15 più votate sono state quelle poste ieri, quindi viene reso merito al fatto che le domande venivano poste dagli utenti e scelte dagli utenti ma non che non ci fosse la possibilità di fare domande davvero "live", senza che Al Gore avesse la possibilità di conoscerle prima dell’evento e di prepararsi le risposte. Forse la protesta di Robin Good è servita perchè esaurite le 15 domande è stato possibile farne altre.

 

Perchè Kay ha parlato degli stivali di Al?

Ve lo lascio immaginare 🙂
 
 
 
Si va beh, bella cronaca, ma tu cosa ne pensi?
Me lo ha chiesto anche Erasmo Catavolo di roma-citta.it fuori dal teatro. Vi mostro il video (mi scuso se ad un certo punto si vede visibilmente che sto masticando una cicca… )
 
 

Sono sempre più convinta che io non sia fatta per la videocamera. Molto meglio le mie adorate foto faccioni:

con giovy e stefano (autore e coautore del live blogging)

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con i googlisti

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con mr prestigio

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con nicola

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con vincenzo

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con Lele

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 Tutte le altre foto fatte le trovate su Flickr.

Vi lascio con questa foto delle mani di GIovy sulla tastiera del suo Asus EEE PC (lo voglio) durante il liveblogging.

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