Harnessing the collective intelligence

Ieri sera leggevo su CNNMoney.com un articolo scritto da Grace Wong giovedì scorso (il tempismo non è il mio forte).
L’articolo, intitolato “Follow the Web 2.0 money – Too much money chasing too few deals? Who cares? VCs still upbeat about the next wave of Web services.“, parla di come i venture capitalists abbiano investito ingenti somme di denaro nel WEB 2.0 l’anno scorso, e che non tutti ne siano ancora usciti vincitori in quanto la concorrenza è ovviamente agguerrita; in realtà, secondo David Shapiro, sarebbe fattibile avere più vincitori cercando di segmentare il più possibile il mercato, creando ad esempio delle community diversificate per età.
Comunque il vero motivo per cui mi trovo a scrivere di questo articolo sul mio blog è perchè ho letto una frase, ed in particolare un termine, che mi hanno colpita:

“It’s about harnessing the collective intelligence. The users are the ones who add value to these sites,”

La frase è stata detta da Ajit Jaokar, uno dei cosiddetti Web 2.0 evangelist, e il termine a cui facevo riferimento prima è HARNESS.
Come molti di quelli che mi conoscono sanno sono metà italiana (papà Vinicio), e metà british (mamma Jacqueline, il nome è francese lo so ma è definitely english), da che ne deriva che parlo abbastanza bene l’inglese ma ho una grossa (almeno per me) lacuna: un vocabolario da arricchire! Quando oggi mi sono trovata di fronte a questa parola sconosciuta sono andata subito sul fedelissimo wordreference e ho scoperto che in italiano vuol dire

harness:
harness (general (incl. horse gear, parachute, repelling, etc.)) nfpl briglie
harness (horse) v mettere le briglie
harness (incl. mental, psycho, etc.) v imbrigliare (imbrigliare, incl. Fig.)

Mi piace il concetto di imbrigliare la conoscenza collettiva… anche Yahoo durante la recente conferenza sul web 2.0 ha enfatizzato l’importanza di far sì che la conoscenza collettiva di tutti gli utenti web diventi accessibile per ognuno di noi, ma addirittura imbrigliarla 🙂
La verità è che questo termine, come tanti altri, ha un suono talmente “poetico” nella lingua anglossassone e così “rozzo” nella lingua italiana che ritengo sia meglio ogni tanto rinunciare alle traduzioni letterali!