Ho sorriso (il mio viaggio in Cambogia e Thailandia)

Ho sorriso all’inglese maccheronico e alle domande come “Restaurant, where?” perché l’inglese di Oxford, quello del genitivo sassone e dei question tags, è incomprensibile.

Ho sorriso ai refusi, nei menu e nelle insegne dei negozi, perché non dovevo correggerli.

refuso

Ho sorriso ai tacchi, a quelli che ti slanciano e ti fanno sentire più bella, perché non ho dovuto indossarli per compiacermi davanti allo specchio.

Ho sorriso alle infradito, quelle che ti tagliano la pelle tra l’alluce e il secondo dito del piede, perché il mare disinfetta la ferita.

Ho sorriso ai motorini, quelli che trasportano famiglie di quattro persone, perché sono diretti verso una casa.


Ho sorriso al pantalone taglia unica, perché puoi essere una 38 senza curve o una 46 che ne ha in abbondanza, a lui non importa.

Ho sorriso alla fretta perché non averla ti fa cogliere ogni minimo dettaglio, davanti o dietro al mirino di una macchina fotografica.

Ho sorriso ad ogni sguardo, quelli furtivi dei passanti, quelli attenti dei bambini, perché occhi così belli non ne ho mai visti.


Ho sorriso tanto.

E volete sapere una cosa? Sorrido ancora.

Punto (dicesi un post personale).

Ecco, io raramente scrivo post personali, ma oggi mi prende così.

Sono una persona fortunata io, non è la prima volta che lo dico. Oggi si festeggia la festa del papà. Ho chiamato il mio papà per fargli gli auguri. Alle 1815. Scherzando mi ha detto che sicuramente l’ho fatto perché me lo ha ricordato mia madre. Aveva ragione, me lo aveva scritto su messenger già un paio di volte mentre ero in ufficio, ma non mi sarei dimenticata. Ci tengo alle feste. Sarà il mio retaggio inglese. L’economia inglese si basa sui pretesti per festeggiare. Mi ricordo quando una volta ho visto nelle vetrine di una pasticceria nel Kent delle confezioni regalo per la “festa della maestra” e mi sono chiesta se fosse fattibile una cosa del genere in Italia. Dura vita quella delle maestre.

Ho amici che oggi ricordano padri che non ci sono più. Io ho chiamato mio padre alle 1815. Sono una persona fortunata. Sì, sono fortunata.

Se ho qualcosa che non va ho sempre qualcuno che me lo fa notare. Da qualche mese sono in molti a farmelo notare. Forse quel qualcosa, o era un qualcosa diverso, si notava anche prima ma era più facile da giustificare. Facile. Che strana sensazione usare la parola facile associata a scelte così difficili. Scelte, non scelta, perché quando devi prendere una scelta quelle difficili si mettono in coda prendono il numerino e aspettano il loro turno. E io non sopporto le file. Non tollero perdere tempo.

Gli amici mi chiedono come sto e io rispondo “Si bene dai”. E dentro quel “dai” ci sono sere e sere passate a pensare a me stessa, ad ascoltare canzoni in modalità repeat fino a quando qualcosa ti distrae, a ripetermi che non mi manca assolutamente niente, e altre cose indicibili in un post personale sporadico da pubblicare in un blog che di personale ormai ha poco se non il punto di vista dell’autrice nell’affrontare temi professionalmente interessanti ed in generale il suo lavoro. Sì, anche quando tocca fare i conti con i punti di vista altrui.

Punti di vista. Punti. Sì forse quello che mi manca sono dei punti. Punti di riferimento. Punti fermi nella mia vita. O forse no. Forse mancano dei punti di sospensione. Forse manca solo un po’ di punteggiatura, una virgola qua e là, un punto a capo, un punto esclamativo, di sicuro non mancano i punti interrogativi. Per ogni punto interrogativo dovrebbe esserci almeno un punto esclamativo o un punto a capo.

La prossima volta che mi chiederai come sto e ti risponderò “Sì bene dai” sappi che sto bene. Davvero. Sì, perché sono fortunata. Lo so. Ne sono consapevole. Mi manca giusto qualche punto.

Intanto metto qualche puntino sulle i. Sono importanti. Colmano l’approssimazione e l’incertezza. Almeno quelli ogni tanto so dove piazzarli.

Punto.

Questa settimana mi trovate su Grazia

Proprio cosi’! La redazione di Grazia mi ha invitato a scrivere nel loro blog come guest blogger della settimana.

Il primo post riguarda le domande che noi temiamo per diversi motivi:

  • Domande a cui e’ difficile dare una risposta sintetica
  • Domande a cui rispondiamo con una piccola bugia per comodita’

Dai commenti e’ gia’ emersa anche un’altra categoria:

  • Domande che semplicemente ci irritano e tirano fuori il lato peggiore di noi eheh

Il titolo del post e’ legato al fatto che una delle domande che mi mette piu’ in crisi e’ "Che lavoro fai?".

L’altra e’ "Di cosa parla il tuo blog?" 😀

Vi aspetto "di la’" 😉

LaFra (il blog non la blogger) cambia look

Sono lontani i tempi in cui mi divertivo a cambiare la header del blog alla ricerca di quella che fosse più in sintonia con la mia vita in quel particolare periodo.

Il blog da allora è “cresciuto” insieme alla sua mamma, si è ammalato gravemente, è stato curato, è stato spogliato di ogni indumento per poi essere rivestito di un semplice sacco di juta (non chiedetemi il perché di questa associazione mentale sto cercando di ricordarmelo anch’io scavando nel mio bagaglio bibliografico / cinematografico).

Gliel’ho promesso e finalmente eccolo: un vestito nuovo di zecca.

Vi piace?

A me moltissimo 😀 soprattutto perchè ogni componente rappresenta qualcosa che mi riguarda.

La header sembra disegnata a matita, che io prediligo rispetto alla penna, su un foglio di carta, rigorosamente a quadretti. Nel mio lavoro ma anche nella preparazione di alcuni post cerco spesso l’ispirazione partendo da un quaderno e da una matita; è una sensazione bellissima quando il pensiero guida la mano che impugna la matita su un foglio bianco, non trovate?

La signorina con la gonna, seduta con il laptop sulle ginocchia ravvicinate e la testa nascosta dietro allo schermo rappresenta il rapporto tra la tecnologia e il mio inevitabile essere donna. Un po’ di tempo fa, presa da una crisi di blogger-identita’ ho chiesto a chi segue questo blog di rispondere ad una domanda: "di cosa parla lafra nel suo blog (e come ne parla)?". Una delle risposte che mi era piaciuta di piu’ era stata la [mini]affermazione di Gianluca

“rete e marketing con un tocco femminile”? 😀

Credo che in un ambiente in cui la componente maschile e’ decisamente prevalente il tocco femminile quando c’e’ si nota, e non parlo solo di me ovviamente ma di tutte le geek girls: si nota nel modo di scrivere, nell’organizzazione degli eventi, nei rapporti con i propri "simili". Mi faceva piacere trasmettere un assaggio visibile di questo tocco anche in questo blog.

E ora i fumetti che escono dalla testolina della nostra signorina dalle gambe lunghe (magari!): sembrano disegnati a caso ma in realtà ognuno rappresenta uno dei possibili approcci che seguo quando scrivo questo blog:

mi lascio ispirare dagli altri (che quoto)…

…per dare il mio personale punto di vista (spesso convinto anche se non necessariamente convincente ahah)…

 

…e lasciare spazio ad ulteriori riflessioni o commenti (miei o dei lettori ovviamente)

E ora i ringraziamenti! Eh si, perche’ io ho solo orchestrato, i musicisti sono stati altri.

Innanzitutto grazie a Laura, mia collega e amica, per aver realizzato tutta la grafica! Qualcuno mi ha suggerito di organizzare un contest per creare il nuovo template del blog ma io volevo lei, il suo tocco e il suo talento grafico e lei ha accettato!

E poi grazie a Kerouac3001 per avermi aiutato con l’implementazione del tutto! 

A voi i commenti invece eheh.

Riflessioni su Wired Italia

Stamattina ho visto la diretta in streaming della "Colazione da Wired", l’evento organizzato dal futuro direttore di Wired Italia Riccardo Luna per incontrare noti rappresentati della blogosfera e raccogliere impressioni, suggerimenti, consigli sul futuro lancio di Wired in Italia.

Non so a quanti sia stato mandato l’invito ma era arrivato anche a me e per ovvi motivi logistici ho dovuto declinare altrimenti avrei partecipato. Mi sarebbe piaciuto condividere le mie riflessioni sulle opportunita’ editoriali di questa nuova rivista con gli altri presenti e non potendo esserci lo faro’ ovviamente qui 🙂

Le mie considerazioni iniziali sono:

  • Wired e’ un mensile quindi non puo’ creare il suo vantaggio competitivo rispetto alle altre proposte editoriali puntando sulla "freschezza" delle notizie (fanno fatica i quotidiani figuriamoci i mensili). Le attese e le aspettative maggiori nei suoi confronti sono relative ala modalita’ con cui le stesse verranno concettualizzate e approfondite.
  • Wired Italia non puo’ diventare la copia di Wired USA: gli stessi blogger oggi hanno chiarito che sperano che il primo non cannibalizzi il secondo e il direttore ha precisato che non succedera’, sara’ possibile trovare entrambe.
  • Wired deve posizionarsi in maniera diversa rispetto alle altre proposte editoriali che potrebbero essere percepite come concorrenti: rispetto a Nova, piu’ volte menzionato durante la Colazione (dovuto ovviamente anche alla presenza del direttore Luca De Biase), da Jack, accostamento che tutti temono perche’ svalorizzerebbe il ruolo di Wired nel panorama informativo tecnologico, e da altri prodotti in qualche maniera accostabili a Wired relativamente ai temi trattati. Dovrebbe svilupparsi in maniera sinergica e non antitetica a quanto gia’ esiste.
  • Wired potra’ avere, o almeno ci si aspetta avra’, una versione online che a mio avviso non dovrebbe replicare i contenuti della rivista se si vuole venderne un numero di copie sufficiente al sostentamento economico (mi riferisco ovviamente anche alla vendita degli spazi pubblicitari). Oggi durante la colazione ho sentito parlare della rivista come di un "feticcio" perche’ ha ovviamente qualcosa che l’online non puo’ replicare, ma non so quanti possano condividere questa visione a parita’ di contenuti.
  • Wired difficilmente puo’ posizionarsi come aggregatore perche’ una buona parte dei suo potenziali lettori utilizza gia’ strumenti di aggregazione delle informazioni (e qui ritorno sempre al discorso del filtro informativo di cui parlavo in un precedente post)

Per quanto riguarda questo ultimo punto faccio riferimento ad uno degli eventuali target di Wired. Provo a fare chiarezza, a mio avviso i possibili pubblici potrebbero essere:

  • Appassionati di tecnologia (di cui fa parte una bella fetta di blogosfera, in senso lato ovviamente)
  • Opinion Leader (di cui fa parte un’altra porzione di blogosfera, in alcuni casi sovrapponibile alla precedente)
  • Manager Aziendali
  • Enti pubblici e privati

I primi rientrano appunto nel discorso che ho fatto prima in merito alla difficolta’ da parte di Wired di posizionarsi come un aggregatore dell’informazione rilevante: questo pubblico ha gia’ sviluppato una sua modalita’ di aggregazione, in piu’ non ha molta affinita’ con la carta stampata come hanno raccontato alcuni durante l’incontro, e quindi ha bisogno di un vero valore aggiunto per comprare la rivista (e soprattutto per leggerla).

Gli opinion leader, fatta eccezione qualche caso, tengono fortemente in considerazione i big brands editoriali, soprattutto in formato cartaceo, perche’ sanno che l’opinione acquista appunto leadership quando sconfina il bit e e arriva sui mezzi classici.In questo senso Wired dovra’ vedersela con i grandi quotidiani, versione cartacea e online, e con lo stesso Wired americano: dovra’ essere in grado di costruirsi una reputazione, di acquisire credibilita’ nei confronti di questo pubblico.

I terzi e i quarti preferiscono un’informazione snack piuttosto che lunghi articoli ridondanti.

Che cosa accomuna questi pubblici? Di cosa hanno bisogno? Che cosa manca? A mio avviso manca uno strumento che li metta nelle condizioni di capire cosa stanno leggendo, di andare oltre alla notizia, di invididuare dei trend. Come gia’ accennato nel precedente post, piu’ che di un filtro informativo hanno bisogno di una chiave di lettura dell’informazione e di identificazione delle possibili implicazioni per il panorama italiano (e secondo una logica ad imbuto per il loro business).

Durante la Colazione e’ stato precisato il fatto che Wired Italia deve connotarsi di italianita’, raccontando storie e vicende legate a persone, aziende, attivita’ italiane, ma a mio avviso anche individuando le conseguenze e l’impatto per l’Italia di cio’ che avviene oltreoceano, oltremanica, insomma oltre i nostri confini.

Non e’ una novita’ se dico che in Italia spesso l’innovazione arriva "dopo", a volte semplicemente c’e’ ma non e’ visibile, manca una traduzione della stessa per un pubblico piu’ ampio rispetto agli addetti ai lavori.

Ecco questa e’ l’attivita’ di "traduzione" che auspico per Wired Italia.