Riflessioni sul “Personality-based marketing”: il caso Julia Allison

Come alcuni sapranno la copertina di Agosto di Wired era dedicata ad una ragazza: Julia Allison. Ho letto i commenti nella versione online dell’articolo “Internet Famous: Julia Allison and the Secrets of Self-Promotion” e ho notato che la comunita’ della rivista si e’ diciamo spaccata in due: chi ha trovato l’articolo interessante e chi si e’ sentito offeso come lettore per la scelta di Wired di mettere una sciacquetta come Julia, un tipo alla Paris Hilton , in prima pagina.

(Julia ha risposto ai commenti alla copertina su Flickr)

Io rientro nella prima categoria. Personalmente credo che questo articolo possa portare a fare delle riflessioni e dare origine a diversi tipi di discussione.

Questa in sintesi (ehm) la mia personale revisione dell’articolo.

Il personaggio di Julia Allison e’ stato scelto come un eclatante caso di personality-based marketing e in sostanza ci “insegna” che se vuoi diventare famoso a tutti i costi in rete ci puoi riuscire, basta seguire alcune regole.

1. FARSI NOTARE (non importa come)

  • Think Big (but start small). Julia ha inizialmente individuato un “target” di riferimento ben specifico, una nicchia di persone su cui far colpo. Quando era una studentessa universitaria aveva un debole per gli studenti di medicina e per farsi notare ha iniziato a lavorare nella biblioteca della loro scuola, posto perfetto per creare un contatto. Quando arrivo’ a New York il suo obiettivo era diventare una figura “cult” e ha capito che iniziare da una “nicchia” e restarci fino a quando non vieni notata dalla stessa, sarebbe stata la sua strategia per irrompere nel mondo mediatico di manhattan. La nicchia in questo caso e’ stato il blog Gawker.com "The source for daily Manhattan media news and gossip" avente spesso come tema i VIP e i media.
  • "Be a hot woman with an exhibitionist streak" Per farsi notare dal blog Gawker Julia ha iniziato a scrivere articoli con link al blog, a commentarne i post e a flirtare con alcuni dei lettori/scrittori. Per questo motivo Gawker l’ha “bannata” dal blog (ossia le ha vietato l’inserimento di ulteriori commenti) e screditata pubblicamente. Invece di disperarsi Julia ha risposto cosi

  • “In-person” is the least common communication channel: per farsi davvero notare e sopratutto ricordare Julia ha capito che non era sufficiente essere un nickname nel web ma doveva farsi notare in carne e ossa perche’ la continua proliferazione di nuovi canali di comunicazione rende la propria persona il canale meno comune, meno scontato e piu’ memorabile. Le eccentriche (una volta si e’ vestita da preservativo) comparsate di Julia a party e gala sono state rese note dai numerosi scatti fotografici e video pubblicati da online da lei stessa e dagli utenti “paparazzi”.
  • "It’s not who you know, it’s who you’re next to": tra le piu’ celebri foto di Julia ci sono quelle accanto a celebrita’ come Richard Branson, Chris Anderson e Henry Kissinger.

2. TENERLI AL GUINZAGLIO

  • Be always their Top of The Mind: non basta farsi notare, e’ necessario che chi ti ha notato si ricordi di te, e per farlo Julia usa i social media come il suo blog, aggiornato costantemente con foto e video (caricati su YouTube), e Twitter, il famoso servizio di microblogging dove alterna messaggi sulla sua vita quotidiana come “At sushi”, “In the car on the way to the Hamptons”, etc a link al suo blog. I contenuti non saranno particolarmente interessanti ma catturano ugualmente l’attenzione.
  • Embrace Enigma: Una volta Julia ha comunicato che l’odio dimostrato nei suoi confronti da diverse persone nella rete la stava distruggendo e che non avrebbe mai piu scritto sul suo blog. Il giorno dopo ha reiniziato a scrivere. Narcisismo o Satira personale? Non si sa, ma la voglia di scoprirlo e’ cio’ che spinge molti fans a continuare a seguirla.
  • Let your fans fight your battles: Julia e’ amata quanto odiata ma questo le giova in ogni caso; da una parte vale la vecchia regola del “non importa come se ne parli, l’importante e’ che se parli”, dall’altra i fans hanno la possibilita’ di dimostrarle il suo affetto difendendola dagli attacchi nemici.

3. EXTEND YOUR BRAND Recentemente Julia ha lanciato un nuovo sito all’indirizzo www.nonsociety.com insieme ad altre due ragazze visibili non appena si accede all’homepage. Perche correre il rischio di abbassare le luci dei riflettori perennemente puntati su di lei per accenderli su altre due donne? Perche’ si tratta di due amiche che grazie a lei, e solo grazie a lei, stanno diventando due web celebrities. Ormai la notorieta’ di Julia e’ talmente forte da poter essere utilizzata per rendere celebri altre persone, come se fossero due subrands del motherbrand Julia Allison.

Alcune riflessioni iniziali:

  • Best (and worse) branding practises: il punto 3 evidenzia come Julia sia ormai paragonabile ad un brand ed in quanto tale credo sia interessante analizzarne l’evoluzione perche’ le sue “tattiche” sono in qualche maniera assimilabili ad operazioni di marketing: pensiamo ad esempio al tentativo di inserirsi all’interno di una nicchia (di mercato) o di connotare la propria immagine di esibizionismo e protagonismo, mi vengono in mente diversi brand che hanno messo in pratica le stesse tattiche di Julia con successo e altri invece che non ci sono riusciti. Uno dei lettori di Wired ha scritto un post in risposta all’articolo di Wired dove spiega che la storia su Julia Allison e’ un chiaro esempio di:

1. How not to do PR

2. How not to use web 2.0 social media tools

3. How not to run a magazine Siete d’accordo?

  • Web Celebrities vs Real celebrities: magari Julia non ispirera’ nessun brand ma potrebbe stimolare i “veri” VIP; pensiamo ad esempio a Britney Spears e a come abbia deciso di puntare sui social media per ricostruire la propria immagine.
  • Nuovi testimonial (o nuove opportunita’ di co-branding): la ricerca da parte di un brand di un testimonial e’ spesso un’impresa difficile: da una parte ci sono “sempre le stesse facce”, dall’altra e’ difficile per il proprio target identificarsi con questi personaggi, e poi beh costano parecchio. Persone come Julia ma in generale le web celebrities non rappresentano in questo contesto delle nuove opportunita’? (e in quanto brand il legarsi a questi personaggi non e’ un po’ come dar vita ad azioni di co-branding? 🙂 )

Queste sono le prime considerazioni che mi vengono in mente. Voi cosa ne pensate?

La web tv series dedicata alle mamme: In the Motherhood

Avevo segnalato In the Motherhood su Twitter già un po’ di tempo fa ma era indubbio che avrei dedicato anche un post a questa iniziativa americana di cui sono ormai diventata una fan accanita!

Si tratta di una divertente serie televisiva fruibile esclusivamente online in un canale dedicato sul sito di MSN le cui protagoniste sono tre donne (tra cui Jenny McCarthy) alle prese con il difficile ruolo di mamma.

A rendere In the Motherhood ancora più interessante è la componente "user-generated": le storie alla base dei vivaci webisodes sono ispirate ai racconti che le mamme pubblicano sul sito e che vengono votati dagli utenti; il racconto vincitore diventa il soggetto del prossimo episodio. Si può quindi dire che questa web tv series è un prodotto innovativo che coniuga l’autenticità degli user-generated contents, con la qualità e la continuità di una produzione seriale televisiva. Se volessimo ipotizzare la sua "applicabilità" o "replicabilità" in Italia è ovvio che bisognerebbe considerare il fatto che i webisodes rappresentano ancora un fenomeno di fruizione limitata ma ci insegnano anche che puntare su elementi apprezzati dal target come la qualità della produzione e soprattutto la serialità possono comunque generare un seguito di pubblico interessante e rappresentare delle leve per la diffusione di forme analoghe di intrattenimento.

In più vorrei farvi notare la tipologia di presenza degli sponsor: la web series, che è alla sua seconda stagione dopo il successo della prima (5.5 milioni di visitatori) è sponsorizzata da Suave ("the only beauty brand specially formulated for moms") e Sprint (numero tre dei servizi mobili in America). Onestamente non so quanto abbiano dovuto investire i due sponsor in questione per realizzare la web series ma credo che la percezione di brand da parte degli utenti che si sono appassionati alle storie delle tre mamme protagoniste non possa che essere positiva. I brand in questione sono molto visibili ma non sono invadenti, io personalmente li percepisco più come "enabler" della serie che "sovvenzionatori", sarà l’espressione "conceived by Suave and Sprint" (ossia concepito da) che appare all’inizio di ogni episodio e l’assenza di ogni altro brand sia all’interno degli episodi che del sito a farmelo pensare?

Deformazione professionale 🙂 a parte vi consiglio vivamente di concedervi 10 minuti di relax (gli episodi durano circa 5-7 minuti ciascuno) e di immergervi nel coinvolgente mondo di In the Motherhood (sto facendo talmente tanta pubblicità a questa serie che dovrebbero pagarmi!).

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Come creare una versione “mobile friendly” del tuo blog

Io ci sono riuscita e quindi ci potete riuscire anche voi 🙂

Basta usare Mofuse, ossia la fusione tra Mobile e Fusion come ci spiega Veronica Marasco in un video di ictv che inserisco qui visto che viene data una descrizione passo passo di come creare una versione mobile del proprio blog.

Trovo ovviamente importante sottolineare la possibilità, grazie all’inserimento di un codice PHP nel file header del proprio blog, di indirizzare automaticamente gli utenti che digitano www.lafra.it con il proprio telefonino alla versione mobile così da non dover salvare/ricordare un altro indirizzo.

Ecco alcune immagini della preview online del mio blog.

 

 

In sostanza l’utente visualizza prima l’elenco dei titoli dei post e poi eventualmente il dettaglio, senza dover caricare subito tutta la pagina.

Siccome con la tecnologia sono un po’ come san tommaso ho lanciato un appello su Twitter per chiedere se qualcuno aveva la possibilità di testare la versione mobile e i tre tester che si sono proposti mi hanno confermato che si naviga senza problemi. Grazie a Francesco, Andrea e Antonio per essersi proposti :-).

Che ne pensate? In realtà vorrei già argomentare questa scelta ma magari lascio le mie considerazioni ad un post successivo, e nel frattempo cerco di raccogliere le vostre prime impressioni.

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Da “Social Network” a “Publicity Network”: vi piace questo uso di Twitter?

Una caratteristica che mi contraddistingue è il tempismo 🙂 (ultimamente nella vita reale ne ho dato una lampante dimostrazione) tranne quando si tratta di scrivere su questo blog. Trovo un articolo interessante e poi immancabilmente passano settimane prima che riesca a trovare il tempo o l’occasione per parlarne. Comunque, chiusa parentesi, il post in questione è When Does a Social Network Become a "Publicity Network"?

Allen Stern, l’autore dell’articolo, analizza il fenomeno Twitter come strumento di social networking e si sofferma sulla inevitabile "snaturizzazione" dello stesso da parte di alcuni noti personaggi della rete. Il personaggio di riferimento è Robert Scoble il cui account su Twitter mostra in questo momento 6.628 followers, e fino a qui tutti i nostri complimenti, accanto però a questo dato "Following: 6.809".

Twitter - Scobleizer 24/10/2007

La domanda sorge spontanea: come può Scoble seguire tutti i twit di 6809 utenti? Stern a questo proposito ipotizza anche un calcolo per verificarne la fattibilità "umana":

With 6,000 people on Twitter, let’s assume 10% are active and post 3 messages a day, that’s 1800 messages per day to keep track of

La riflessione che è scaturita da questa constatazione è stata appunto se per personaggi come Scoble Twitter più che un social network sia diventato un publicity network, ossia un mezzo per farsi pubblicità, per automanifestarsi, per segnalare i propri articoli/post, senza di fatto interagire con gli altri utenti in uno spirito di condivisione e di confronto.

A social networking tool becomes a publicity tool when "I speak, you speak, I reply, you reply" becomes "I speak, you listen".

Lo stesso Scoble è intervenuto con un commento in cui ha spiegato che per lui Twitter è come una sorta di chat room e che non è vero che è impossibile star dietro a tutti i twit, anzi "it is VERY possible". Aggiunge inoltre che non perde MAI i twit di coloro che iniziano i loro messaggi con "@scobleizer" grazie al loro raggruppamento all’interno della pagina "replies" e chiude parlando della funzione "track" che gli consente di avere sott’occhio tutto ciò che viene discusso su un argomento come ad esempio "microsoft".

Insomma una cosa è certa: Scoble conosce molto bene il mezzo che ha a disposizione e lo utilizza in maniera consistente (anche se c’è chi afferma che i twit non sono tutti farina del suo sacco), quello che ci si chiede e se lo stia usando in maniera corretta.

Il punto è che molti account su Twitter sono stati aperti solo ed esclusivamente per utilizzare il mezzo come un publicity network, l’esempio citato da Stern è Mashable (Following 2 / Followers 1.608) a me vengono in mente tra i miei contatti SkyTG24 e Blogosfere , e il successo di alcuni di questi fa scaturire una domanda forse un tantino provocatoria

Are these new publicity networks (Facebook, Twitter, etc.) the new press release? […] And if you are working with a social media consultant who isn’t leveraging these new publicity networks where appropriate, you need to find a new consultant

Che ne pensate? Twitter potrebbe arrivare a sostituire la tradizionale press release? Come vedete l’utilizzo di Twitter non come servizio di microblogging, o di social networking in senso lato, ma come Publicity Network? Considerate Robert Scoble un caso ibrido?

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Messaggio di errore sul maxischermo di Coca Cola in Piccadilly Circus

Merita decisamente un post questa foto scattata in Piccadilly Circus nella mia amata Londra. Stavolta sembra proprio che non si tratti di un fotomontaggio: a causa di Bill & company il maxischermo di Coca Cola è stato immortalato con questo bel messaggio di errore:

Coca Cola Media Player has encountered a problem and needs to close. We are sorry for the inconvenience.

 

Grazie a Paolo Valdemarin per averlo segnalato su Twitter.

 

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Il sesto senso sociale di Twitter

Un paio di settimane fa, prima di uscire dall’ufficio, ho stampato un articolo di Wired, l’ho infilato nella Harrods Bag  porta tutto (ogni impiegata che si rispetti ne ha una simile 😉 ) e lì è rimasto fino a ieri sera quando ho deciso di svuotare la borsa e scoprirne il contenuto. Ed eccolo lì, "Clive Thompson on How Twitter Creates a Social Sixth Sense", e finalmente l’ho letto.

Ho fatto bene perchè ho trovato l’articolo molto interessante per due motivi in particolare.

Il primo è la conferma ad un pensiero che ho espresso recentemente anche su questo blog ossia

sono dell’idea che non si debba mai giudicare qualcosa senza conoscerlo, solo così è possibile essere obiettivi, altrimenti è tanto meglio TACERE!

E questo è in maniera analoga il pensiero di Clive Thompson quando dice a proposito di Twitter

Twitter is the app that everyone loves to hate […] why has Twitter been so misunderstood? Because it’s experiential. Scrolling through random Twitter messages can’t explain the appeal. You have to do it

Sante parole 🙂

L’altro motivo per cui mi è piaciuto l’articolo è stato quanto ho letto subito dopo:

You have to do it — and, more important, do it with friends.

Questo se hai amici che usano Twitter, se no ti devi "accontentare" di tutte quelle relazioni che la tua vita virtuale ti porta a creare che possono poi diventare amicizie ma nel mio caso relegate alla websfera. Come dicevo sempre recentemente su questo blog uso Twitter

perchè lo considero una corsia preferenziale per avere informazioni esclusive e aggiornamenti in tempo reale dalla blogosfera

e questo comporta che tutti i messaggio del tipo va a fare la cacca non siano di mio interesse ma che  è il "prezzo" da pagare per poter ottenere il meglio da questo mezzo.

L’osservazione di Clive, "do it with friends", mi ha però fatto pensare che se effettivamente fosse stato un mio amico a scrivere quel twit, uno di quelli con cui magari potrei uscire la sera stessa a bere un aperitivo, uno della mia compagnia, mi sarei fatta una sana risata magari rispondendo qualcosa tipo "@amico, guarda che è finita la carta igienica!!".

Quindi, senza rifletterci tanto su, potrei pensare che una buona evoluzione di Twitter potrebbe essere quella di dare la possibilità agli utenti di contrassegnare determinati followers come "friends" (un po’ come fa Flickr) per indirizzare determinati messaggi solo a loro senza annoiare e infastidire gli altri, e con la possibilità anche per i followers di proporsi come "friends" per sapere davvero tutto su quello che quell’utente sta facendo.

Voi che ne pensate? Potrebbe essere una buona idea? O si rischia di snaturare Twitter?

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Il bello di Twitter: cronostoria di una nascita

Logo TwitterDa diverso tempo avrei voluto parlare del mio particolare rapporto con Twitter. Come in altri casi di novità "digitali", ho constatato un approccio abbastanza schierato nei confronti di questo strumento, o sei pro o sei contro; io invece mi sento esattamente nel mezzo, con una vicinanza più al pro, nel senso che Twitter mi piace ma non ne vado pazza, ne riconosco le potenzialità ma non mi sono mai impegnata più di tanto per coglierle.

Perchè quindi uso Twitter? Mah per diversi motivi ma in primis direi perchè lo considero una corsia preferenziale per avere informazioni esclusive e aggiornamenti in tempo reale dalla blogosfera. Certo bisogna leggere anche tante cose inutili, qualche fesseria e sopportare un uso improprio del mezzo da parte di molti (credo che prima o poi darò vita ad una rubrica "il peggio di twitter") ma spesso ne vale la pena.

Ieri ne ho avuto la conferma quando per la prima volta forse nella storia di Twitter credo quando un papà ha raccontato tutti i momenti che precedono la nascita della propria figlia fino al lieto evento; il papà in questione è Nicola Mattina che ieri ha tenuto tutti i suoi followers incollati a Twitter in attesa di sapere quando la piccola Ludovica sarebbe nata.

Divertente e significativo questo Twit

scopre che twitter è un buon surrogato di una stecca di sigarette… magie della condivisione 🙂

Per chi ha voglia di leggere tutta la cronostoria dell’evento eccola qui, a partire ovviamente dal momento più recente a quello meno recente come Twitter impone:

ringrazia tutti per gli auguri e il sostegno e augura buona notte 🙂
ha lasciato le donne in ospedale e sta tornando a casa distrutto pensando a come racconterà domani l’arrivo della sorellina a Beatrice 😉
non ha mai capito il grande interesse per peso e lunghezza dei neonati, ma quelli di Ludovica sono 3,050 kg e 49 cm 😉
aspetta i dati ufficiali dell’evento (lunghezza e peso, visto che il sesso già lo sa) per dirmarli urbi et orbi 🙂
Grazie dei complimenti in anticipo: Ludovica è appena nata e sto aspettando che passi la culla 🙂
scopre che twitter è un buon surrogato di una stecca di sigarette… magie della condivisione 🙂
è un po’ triste perché Patrizia desiderava tanto poter fare un parto naturale 🙁
è fuori dal blocco operatorio e attende di rivedere le sue donne: che ansia!
il ginecologo ha deciso di tagliare perché non ci sono stati grandi progressi e Patrizia ha già avuto un cesareo 🙁
è parecchio stanco e ha dormito pochissimo, ma è anche molto curioso di vedere Ludovica 🙂
ascolta il battito di Ludovica, mentre l’ostetrica fa un altro monitoraggio a Patrizia: sono già passate oltre 15 ore!
no news good news. Ha capito che la secondogenita nascerà domani con tutta calma! Si prepara all’attesa…
è sceso a mangiare un boccone e a prendere un caffé liscio (al nord la precisazione è d’obbligo 😉 è una bella e calda giornata…
ha l’impressione che ci vogliano ancora molte ore: Patrizia prova a schiacciare un pisolo tra una contrazione e l’altra…
Siamo in ospedale e monitoriamo! Sarà una cosa luuuunga…
Sta portando Patrizia in ospedale: stanotte è iniziato il travaglio… Si sente un po’ agitato 😉

Ora rimaniamo tutti in attesa delle fotografie. Bravi Nicola e Patrizia!

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Anche il Maestrino Vanz è “Anomalo”, da più di dieci anni! E che fatica esserlo…

Non avevo dubbi in merito ma dopo aver letto il suo ultimo post "Prima o poi tutti gettiamo la spugna" ne ho avuto la prova schiacciante.

Il post, che consiglio caldamente a tutti di leggere, è uno sfogo nei confronti di quelle persone che in sintesi giudicano senza provare, come tutti coloro che parlano male di fenomeni come Twitter e Second Life senza aver mai tentato di usarli o di capirne la natura e soprattutto le potenzialità, sia sul piano della comunicazione interpersonale che commerciale.

Vanz spiega come si sia dovuto confrontare con questi scetticismi fin dall’alba dei tempi

Capitava di parlare di questa cosa misteriosa che si chiamava Internet a cena fuori con gli amici. Loro avevano sentito quella parola e non ne sapevano nulla, se non che non avrebbero saputo che farsene, quindi non gli serviva. I miei tentativi di argomentare citando i tassi di crescita iperbolici della Rete si scontravano immancabilmente con un vecchio espediente retorico firmato Marcello Marchesi che mi ha sempre fatto incazzare. Il massimo che ottenevo erano sguardi perplessi, ma in fondo ero innocuo.

Qualche anno dopo il Vanz frequenta newsgroups e mailing list e gli sguardi da perplessi diventano "di sufficienza".

Alla sua prima storia nata in Rete gli sguardi da sufficienza diventarono "di compatimento".

Quando cominciò a scrivere su un blog gli sguardi da compatimento diventarono "di ostilità". Ed ecco la frase che mi ha fatto sorridere:

Che tipo di persona vorrebbe mai raccontare i propri fatti privati in pubblico, se non un disadattato?

DISADATTATO = ANOMALO 😉

A parte gli scherzi, la seconda parte del post è quella che più mi ha colpito perchè la condivido totalmente.

Se una persona decide di non avventurarsi nell’esplorazione del "NUOVO" non può permettersi di etichettare questo nuovo come "inutilità", "perdita di tempo", "stupida invenzione", "moda passeggera", etc.

E’ normale: tutti pensiamo (trad.: desideriamo) che il mondo si fermi nel momento in cui ci troviamo, se non in quello in cui ci siamo divertiti di più. Per dire, c’è gente che ancora ascolta gli Spandau Ballet. Ma il mondo non si ferma, l’unica cosa che succede è che siamo noi a un certo punto a gettare la spugna. E abbiamo il diritto di farlo, ma se vogliamo essere onesti dobbiamo dire "ho gettato la spugna", non "queste robe nuove sono tutte cazzate".

Molte delle persone che conosco e che frequento non sanno nemmeno cosa sia la "spugna" e non ho diritto di farglielo pesare perchè si tratta di una scelta di vita, ma sono d’accordo con Vanz quando dice che coloro che gettano la spugna possono farlo nella misura in cui lo ammettono, piuttosto che nascondersi dietro un saccentismo alquanto fastidioso.

Come scrivevo a proposito di Second Life nel mio recente post "Una Giornata di Eventi su Second Life" anch’io sono dell’idea che non si debba mai giudicare qualcosa senza conoscerlo, solo così è possibile essere obiettivi, altrimenti è tanto meglio TACERE!

Chiudo rinnovando l’invito che Vanz ha fatto a tutte queste persone un po’ diciamo "frettolose" nel voler ergersi a guru del niente:

Non chiedere a cosa serve: provaci.

Anche se per adesso non sai che fartene, provaci.

Non proiettare le tue paure sullo strumento, provaci.

Se sei curiosa, provaci; ma anche se pensi che non ti serva, provaci.

Qualunque cosa accada, probabilmente scoprirai qualcosa su te stessa.

PS Avete notato la declinazione femminile? Non sarà che anche Vanz denota una cerca carenza di donne "anomale"? 😉

 

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