Come ottenere un milione di hits su YouTube

Nel mio ultimo post vi ho raccontato della mia partecipazione ad una viral video competition nel contesto di un corso di formazione interno a Londra.

L’obiettivo era riuscire ad ottenere quante più view possibili del video assegnato coinvolgendo i propri contatti attraverso i diversi social media.

Coincidenza vuole che sulla rivista .net comprata a Heathrow prima di tornare a casa ci sia un articolo intitolato “How to get a million YouTube hits”.

La premessa è la recente dichiarazione di Google sulla quantità di video caricati su YouTube: ben 13 ore di video al minuto, l’equivalente di 57000 lungometraggi ogni settimana.

Come faccio quindi a farmi notare dagli utenti e ad aumentare il numero di views scatenando l’effetto virale? La ricetta descritta da Oliver LIndberg prevede i seguenti ingredienti, da usare singolarmente o perché no in combinazione tra di loro:

DO A FUNNY DANCE

La danza, nelle sue diverse forme, può essere un elemento vincente per la “virability” del video.

Gli esempi citati:

  • The Evolution of Dance (2006) si contende con Avril Lavigne il primo posto dei video più visti in assoluto (a livello globale) su YouTube (in questo momento il primo ha totalizzato 114,552,041 views, il secondo 115,973,452)
  • Un esempio più recente è l’ennesimo caso di parodia di un videoclip, in questo caso di “Single Ladies (Put A Ring On It)”
  • La rivista Science ha invitato i ricercatori di tutto il mondo a sfidarsi nell’interpretazione danzante del proprio dottorato di ricerca (Ph.D.). Il video "The role of vitamin D in beta cell function" mostra una delle performance vincitrici del contest

FEATURE ANIMAL OR KIDS

I bambini e gli animali hanno da sempre la capacità di attirare l’attenzione di grandi e piccoli.

I video segnalati nell’articolo in questo caso sono:

START A REMIX CRAZE

La mania dei remix è un altro fenomeno molto diffuso su YouTube.

Il caso riportato è quello della polka finlandese Ievan Polkka che è stata ripresa, remixata, trasformata in cartoon e in suoneria, fatta cantare a Chewbecca, a Stalin etc. Vi faccio vedere un "video compilation" con alcuni esempi:

Un altro caso celebre è il dance remix del video "Bill O’Reilly Flips Out"

DO SOMETHING UNIQUE

Quest’ultimo tip mi sembra scontato ma per dovere di cronaca ve lo riporto ugualmente.

I due esempi citati hanno in comune una vena provocatoria: nel primo The Fine Brothers.com raccontano 100 spoilers cinematografici in meno di 5 minuti (visto il successo recentemente hanno creato anche una Oscar edition del video), nel secondo un buontempone riesce ad ottenere 7 milioni di views "facendo credere" che è possibile ricaricare un iPod con una cipolla (qui il video dei Mythbusters che svela la bufala).

Questo è lo screenshot dei video più visti in assoluto a livello globale dove vediamo appunto GirlFriend di Avril Lavigne al primo post e The Evolution of Dance al secondo.

Ho evidenziato con una cornice rossa i video rientranti in una delle 4 categorie descritte sopra:

Questa invece è la schermata relativa ai video più visti in assoluto in Italia.

Trovo interessante che due dei video più visti siano relativi al mondo dei videogames:

A questo proposito mi sento di quotare una domanda di Maurizio in merito al target dei "gamers" e al relativo potenziale in tema di buzz marketing

Se Procter&Gamble ha creato un network di mamme influenti per generare passaparola con le altre mamme, se Sony fa provare in anteprima ai blogger i suoi prodotti per farli conoscere e capire ai loro lettori, come mai nessuno [in Italia] pensa ai gamer come target chiave nelle strategie di buzz marketing?

Il quarto video più visto in assoluto è invece uno video virale pubblicitario (Ikea)

Per quanto riguarda gli altri video in vetta alle classifiche dei più visti abbiamo la predominanza di videoclip, segno che la musica vuole essere vissuta sempre di più attraverso l’esortazione di più sensi, non solo dell’udito, e che i brands devono monitorare costantemente questo fenomeno perchè potrebbe creare delle opportunità di comunicazione vincenti. Un esempio in questo senso è ovviamente il "Tea Partay" di Smirnoff che molti di voi conosceranno

(non sono riuscita a trovare un post esaustivo sulla storia di questo video, come è nato e quali effetti ha generato, non escludo che riprenderò anche questo esempio in futuro post perchè secondo me è un case study davvero interessante)

Il viral, il buzz, il word-of-mouth, sono temi decisamente caldi, in molti si interrogano su quali sono gli ingredienti per creare una campagna virale di successo (spesso incentrata sulla realizzazione di un video).

Vi ho parlato di questo articolo proprio per raccogliere un po’ di idee sul tema, partendo da alcuni tips ovviamente generici e dai casi di maggior successo.

Secondo voi esistono delle regole, dei tips, dei consigli per creare un video virale di successo?

L’esperimento di viral marketing: grazie a tutti!

Ieri ero a Londra per un corso interno in cui si è parlato anche di viral marketing.

Per coinvolgere attivamente le 4 classi sono stati mostrati 4 video ed è stato chiesto ad ogni gruppo di sceglierne uno.

Il video sarebbe stato caricato su Break.com dopo aver individuato il titolo ed aver selezionato le tags.

Ed è partita la competition: ogni partecipante avrebbe dovuto promuovere il video del proprio gruppo tenendo conto che l’unico spazio di tempo a disposizione era la pausa pranzo (durante il corso non era possibile usare telefoni cellulari tanto meno collegarsi in wireless con il laptop).

Verso le 12:30 ho scritto questo twit:

Twitter - lafra- HELP al corso sto facendo ..._1235142786426

che oltre ad aggiornare il mio status su twitter ha anche aggiornato quello di Facebook e il mio lifestream su Friendfeed.

Alle ore 16 circa ieri hanno dato i risultati e il tizio che ha organizzato il simpatico esperimento ha detto che c’erano dei risultati notevoli, anzi UN risultato notevole.

Ecco i risultati delle altre squadre Roxette, Ace of Base, Robyn (gli organizzatori sono svedesi…)

   ore 12  ore 13:10  ore 16
Roxette 12 21 27
Ace of Base 13 33 39
Robyn 5 11 68

La mia squadra, gli Europe, invece ha sbalordito tutti con:

ore 12: 39

ore 13:30: 494

ore 16: 859

Purtroppo non era possibile visionare le statistiche di accesso al video, ma sono sicura che una buona fetta l’hanno fatta amici / colleghi / conoscenti che hanno risposto al mio appello!

Grazie grazie grazie

E il premio? Un cd a caso tra Europe, Roxette, Ace of Base e Robyn e a me è capitata quest’ultima!

  • Volo Alitalia A/R: (meglio non dirlo)
  • Valore del premio: irrisorio
  • Entusiasmo per la vittoria: NON HA PREZZO 😉

Viral Competition

Tornando alle cose serie il corso di ieri mi ha dato tanti spunti di riflessione e stimoli che non appena ho tempo condividerò 🙂

Fare la spesa online: la teoria del carrello sociale

Io faccio shopping online: compro libri, riviste, regali, fotografie, borse, accessori etc.

Io NON faccio la spesa online e la vivo come una lacuna personale, perché è un’esperienza che secondo me è da fare, così tanto per sapere cosa si prova eheh.

Prima o poi lo farò, ma dove? Chiediamo.

Martedì 27 ho lanciato il sasso con questo messaggio

“C’è qualcuno che fa la spesa online? Se sì dove? […]”

che ha aggiornato automaticamente il mio status su Twitter, su Facebook e su Friendfeed.

Ho ricevuto 27 risposte e oltre il 75% di queste era per il servizio di spesa online con consegna a domicilio di Esselunga, anche conosciuto come Clicca il Pomodoro.

Mi hanno piacevolmente sorpreso i toni entusiastici di alcuni dei partecipanti a questo similsondaggio

“esselunga è uno spettacolo”

“Esselungaacasa, mai più senza”

“Esselunga. La uso da anni. “

“Ho convertito un sacco di gente a clicca il pomodoro che potrei chiedere una percentuale o per lo meno la consegna gratis a vita ;)”

e la mia deformazione professionale mi ha portato subito a chiedermi “ma Esselunga sarà a conoscenza della presenza di così tanti "brand lovers" online?”.

Beh il motivo per cui ora sto scrivendo questo post è perché la deformazione mi ha portato oltre.

Quando la conversazione su Friendfeed si è spostata sul ruolo sociale della spesa online

Fare la spesa live a Milano il sabato mattina o la sera dopo le 17 non è divertente per nulla… Anche se sbirciare nei carrelli altrui facendosi i viaggi su cosa cucineranno, come, e per quante persone è un divertimento semplice che un po’ mi manca 😉 Quanto sarei curiosa di vedere il carello de LaFra! Potrei anche un po’ immaginarmelo! 😉

dovremmo, peraltro, parlare della mitica Esselunga a due passi da San Vittore (quella piena di single), così come il piccolo Conad in Corso Buenos Aires, altro luogo di single che incrociano sguardi e carrelli. A Torino l’equivalente è il PAM del Lingotto, di fronte a Eataly, valido sostituto di un bar per single. Perché cercare l’anima gemella in disco se puoi farlo mentre compri i biscotti? 🙂 (peraltro dall’osservazione dei carrelli è possibile capire molto di una persona: cioè, io diffiderei di una con una borsa piena di prodotti light, di Activia, ecc.) 🙂

nooo ancora con la leggenda metropolitana dell’esselunga di viale papiniano = luogo di acchiappo??? maddai. mai incrociato niente di notevole (ehm, aaanni fa, ma la leggenda già c’era …)

è scattata nella mia testolina l’idea di una trasposizione digitale di alcune dinamiche relazionali del supermercato.

Ho immaginato un social network dove le persone condividono il proprio carrello della spesa digitale.

Se ad esempio Esselunga integrasse questo servizio di “spesa sharing” direttamente nella propria piattaforma di e-commerce (o rendesse esportabile i dati) il procedimento di creazione del carrello sarebbe immediato perchè non sarebbe necessario aggiungere uno ad uno gli items (tipo come avviene su Anobii per l’aggiunta dei libri… anche se la collaborazione tra Anobii e IBS potrebbe parzialmente automatizzare la creazione della propria libreria virtuale). I possessori di Fidaty Card potrebbero creare velocemente il proprio carrello virtuale anche se fare la spesa online.

Piuttosto prevederei l’opzione di non rendere visibili alcuni elementi perchè se è vero che dal carrello di una persona si possono fare delle considerazioni sul suo conto, alcune cose è meglio non farle sapere ;-).

A cosa servirebbe il social carrello? Vediamo qualche esempio:

  • voglio comprare un ragout pronto: vediamo se i miei amici preferiscono barilla o star e chiedo consiglio
  • ho un blog di cucina: posso inserire il widget del mio carrello per far vedere cosa compro
  • scrivo una ricetta sul mio blog: creo il sacchetto della spesa virtuale con tutti gli ingredienti e lo embeddo nel post così i miei lettori possono aggiungere direttamente tutti gli ingredienti nel proprio carrello
  • convivo con una persona: posso chiederle di segnalarmi i prodotti che vorebbe inserire nella prossima spesa

Questi sono i primi esempi che mi sono venuti in mente ma ce ne sono sicuramente tanti altri.

Ma perchè investire in un’operazione di questo tipo? Io azienda cosa ricavo?

Beh se fosse la stessa Esselunga a integrare nel proprio sistema di e-commerce un sistema di questo tipo avrebbe a disposizione uno strumento davvero potente:

  • la creazione di un legame forte con i propri clienti che andrebbe a ridurre le possibilità di tradire "clicca il pomodoro" con altri servizi di spesa online
  • l’arricchimento del proprio database con dati di natura relazionale e motivazionale
  • la possibilità di dar vita a promozioni ad hoc, magari tenendo conto dell’ampiezza del network del proprio cliente e delle relative opportunità di viralizzazione

Se invece dovesse nascere un Anobii della spesa consiglierei comunque alle varie Esselunga, Coop, Bofrost etc di permettere l’accesso in lettura al proprio database perchè le opportunità descritte prima sarebbero comunque replicabili anche se con un minor controllo e con la minaccia di azioni da parte dei competitors.

Cosa ne pensate? Idea folle? Esiste già qualcosa di questo tipo? (ammetto di non aver fatto ancora ricerche in questo senso)

Trends della comunicazione (secondo me): 3. (digitalising) MEDIA

 (1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand)

(2. Costruzione della presenza online di un brand)

3. Digitalizzazione dell’Universo Media

I mezzi notoriamente definiti in comunicazione come media offline si stanno digitalizzando e sono fruibili anche su internet: è possibile guardare alcuni programmi televisivi, ascoltare la radio, leggere libri e riviste, con modalità e tempi diversi: live, streaming, download, podcast, etc.

La prima banale considerazione che mi sento di fare è che non ha quindi più senso parlare di media online e offline come se fossero due mondi che fanno fatica a parlarsi ma piuttosto di opportunità diverse di fruizione di un contenuto.

Il pensiero che ho fatto su questo trend che ho chiamato digitalizzazione dell’universo media, proprio per non cadere nella tentazione di parlare di media offline, credo possa rappresentare un ulteriore spunto di riflessione sul crollo di questo ormai storico spartiacque.

Nel trend precedente ho parlato delle tre diverse categorie in cui è possibile classificare i media online se osservati da un punto di vista aziendale relativamente al grado di controllo che è possibile esercitare sulle stesse: owned, bought e earned.

In questo trend vorrei riprendere questa distinzione cambiando il criterio di analisi e spostandolo sull’elemento che intrinsecamente differenzia una categoria dalle altre:

  • Negli owned media il focus è sulla TECNOLOGIA ossia sulla resa grafica e architettonica del sito volta in alcuni casi ad enfatizzarne l’impatto grafico e in altri l’usabilità e il livello di accessibilità.
  • Nei bought media l’attenzione si sposta sul CONTENUTO: faccio pubblicità sui portali perchè è lì che gli utenti fruiscono dei contenuti, mi posiziono nei motori in modo da contestualizzare il mio prodotto nell’ambito della ricerca di contenuti da parte dell’utente.
  • Negli earned media, per ovvi motivi, sono centrali le RELAZIONI.

Se mi fermo a pensare a come gli altri media stanno attraversando il processo di digitalizzazione vedo delle forti analogie con il mezzo internet e la sua evoluzione.

Prendiamo la radio, il mezzo che più degli altri ha abbracciato in questi anni le opportunità di innovazione offerte dalla digitalizzazione. Faccio qualche esempio:

  • TECNOLOGIA: La radio viene appunto digitalizzata e può essere ascoltata online, sia in diretta che sotto forma di podcast
  • CONTENUTO: Vengono messi a disposizione degli utenti contenuti aggiuntivi rispetto a quelli trasmessi: è possibile vedere e non solo ascoltare i protagonisti del canale radiofonico e leggere curiosità sulle loro vite (ad esempio all’interno dei blog personali)
  • RELAZIONI: I canali radiofonici cercano di acquisire un grado di controllo sulla community che è nata spontanea attorno al loro brand dando vita a social network dedicati (ad es. mydeejay) o espandendo la propria presenza in altri territori online; inoltre crescono quei servizi online che consentono di condividere la propria passione per la musica e di personalizzarne la fruizione (ad es. Last.fm).

Discorso analogo per la stampa quotidiana e periodica:

  • TECNOLOGIA: le pagine vengono digitalizzate e rese disponibili in formato elettronico
  • CONTENUTO: il sito del quotidiano / rivista offre contenuti diversi e/o integrativi rispetto a quelli cartacei
  • RELAZIONI: nascono community attorno ai brand editoriali (ad es. donnamoderna, style, grazia, etc)

e per l’editoria

  • TECNOLOGIA: gli ebook e i device mobili in grado di leggerli (ad es. Amazon Kindle)
  • CONTENUTO: i siti e i blog dedicati ai libri (ad es. Internet PR) o scritti dagli stessi autori (ad es. Paulo Coelho, Elisa Rosso)
  • RELAZIONI: la scrittura partecipativa e la raccolta/segnalazione di materiali e risorse da parte degli utenti; la nascita di social network dedicati alla condivisione dei propri interessi bibliografici come Anobii e Pickwicki

(Colgo l’occasione per dire a Gianluca che spero nella concretizzazione del pensierino numero 5 relativo al suo ebook [mini ]marketing, 91 discutibili tesi per un marketing diverso)

E la TV? Il tubo catodico fa più fatica ad innovarsi secondo questo percorso evolutivo ma in questi ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti, soprattutto in US e UK (toh che novità), vediamo qualche esempio:

  • TECNOLOGIA: alcuni programmi e serie televisive sono disponibili online a pagamento o gratuitamente. L’esempio americano per eccellenza è Hulu, quello britannico il BBC iPlayer. In Italia mi piace citare la RAI in quanto offre contenuti gratuiti su Rai.tv
  • CONTENUTO: sui siti dei programmi è possibile conoscere i dietro alle quinte, partecipare a sondaggi, vedere interviste non trasmesse in televisione, etc. 
  • RELAZIONI: Hulu e il network ABC consentono di embeddare i video delle proprie serie televisive in siti esterni, la CBS ha creato le social rooms dove è possibile visionare i contenuti "in compagnia" di altri utenti collegati contemporaneamente con cui è possibile interagire; nascono canali e programmi televisivi dove una certa percentuale del palinsesto è creato con i contenuti realizzati dagli utenti (es. Current e QOOB).

Insomma su questo tema ci sono tantissime cose da dire e gli esempi citati vogliono essere solo rappresentativi, sicuramente non esaustivi.

Il mio obiettivo in questo post è condividere il mio pensiero sul trend che può guidare questa evoluzione.

E questa volta non vi disturberò la vista con i miei orridi grafici, spero che il post sia abbastanza esplicativo così, ma per ogni dubbio sapete dove trovarmi 😉

Concludendo mi sento di dire che, analogamente al secondo trend, sia importante avere sempre in mente la big picture quando si ha a che fare con la comunicazione e con le modalità con qui questa prende vita. 

E ricollegandomi al primo trend, quello relativo alla nascita di nuove categorie di brand, credo sia raccomandabile per ogni player media, presente o entrante, considerarsi innanzitutto un brand, un’entità con dei valori e un equity, e non esclusivamente un canale, magari partendo proprio dall’analisi delle tre componenti Tecnologia, Contenuto e Relazioni.

 

Va beh, chiudo davvero e lascio a voi la parola.

Vi va di dirmi cosa ne pensate di questo approccio relativo all’analisi del fenomeno di digitalizzazione dei media?

 

AGGIORNAMENTO

I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.

 

Trends della comunicazione (secondo me): 2. Presenza Online

(1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand)

2. Costruzione della presenza online di un brand

Se ripenso alla mia esperienza personale fino ad oggi mi vengono in mente esclamazioni e affermazioni appartenenti a periodi diversi rappresentative del pensiero comune sul ruolo di internet per le aziende in quel momento.

Per semplificare al minimo ridurrò questa evoluzione a quattro fasi, che presentano ovviamente ampi margini di sovrapposizione tra di loro, al solo scopo di evidenziarne il macrotrend.

Devi farti il sito!

Fino a qualche anno fa (ma la cosa preoccupante è che in molti la pensano ancora così) internet per le aziende era semplicemente “il sito”. Le web agencies e i freelance sfornavano un sito dopo l’altro, acquistavano domini come fossero pacchetti di sigarette, si faceva a gara tra chi trovava l’accostamento di colori più accattivante, l’immagine in homepage più evocativa e simbolica, il menù di navigazione più articolato o “creativo”. Il grafico all’inizio era l’htmlista, poi il flashista fino ad arrivare a richiedere skills di programmazione per ottenere determinati effetti durante la navigazione.

Hai visto il mio banner?

Il numero di siti cresce e le probabilità di essere visitato dagli utenti si riducono notevolmente, diventa quindi forte l’esigenza di creare dei punti di collegamento visibili tra i siti più visitati, in particolare i portali, e i sitarelli aziendali, siano essi corporate o di prodotto: la soluzione sono i banner. Piccoli, grandi, grafici o testuali, statici o che lampeggiano, diventa impensabile “andare su internet” senza almeno un bannerino.

Il SEO è il futuro!

Cosa li fai a fare i banner che tanto non te li clicca nessuno? Devi essere nei primi tre risultati di google se vuoi che qualcuno venga sul tuo sito”: il search è la panacea di tutti i web-mali. è la corsa all’oro, o meglio alle parole chiave dorate, si snocciolano sigle come SEO, SERP, PR, se non sei sulla prima pagina di Google non sei nessuno.

Ce l’hai la pagina su MySpace?

E venne il momento dei social network. Il concetto chiave che inizia a diffondersi sulle bocche dei web strategists di tutto il mondo è: se vuoi raggiungere il tuo target devi essere lì dove sono loro, ossia negli ambienti digitali dove trascorrono gran parte del loro tempo online insieme al proprio “network” (amici, familiari, colleghi, appassionati, etc). E questo concetto si spinge verso il “devi entrare a far parte di quel network“, come se questo ingresso fosse possibile per ogni brand, azienda, prodotto, sito, servizio, testimonial, etc.

La descrizione delle 4 fasi è volutamente esagerata e approssimativa, cerco di condividere un pensiero per esprimere il mio punto di vista su questo fenomeno.

Avrei dovuto inserire nel passaggio da una fase all’altra di questa evoluzione anche esclamazioni come “il sito (il destination website) è morto”, “il banner è morto”, “il blog è morto”, “second life è morto”, etc, sembra che dichiarare la morte di qualcosa o qualcuno da qualche anno a questa parte sia diventata una moda (speriamo non un trend).

Si è sempre alla ricerca della next BIG THING.

Tornando alle fasi , possiamo dire che l’interesse del mercato si è spostato dagli owned media, siti di proprietà interamente gestibili dal proprietario (owner), ai bought media, spazi sui siti a largo traffico che è possibile acquistare, fino ad arrivare agli earned media, ambienti online dove il posto ma soprattutto il consenso da parte degli utenti te li devi diciamo guadagnare.

presenzaonline

Non so quale sarà la next big thing, ma sinceramente mi interessa relativamente, sono molto più affascinata dalla big picture.

Mi spiego.

Ho l’impressione che la continua ricerca di ciò che nel prossimo futuro sarà il nuovo hype faccia perdere di vista quello che in rete c’è già, perchè la cosiddetta rete è più viva che mai. Cercare di capire come le persone usano la rete, quali spazi privilegiano, quali motivazioni li spingono ad usare un servizio piuttosto che un altro, di cosa parlano, cosa e chi cercano, è secondo me una sfida ben più stimolante del capire cosa si intende per web 3.0.

Per quanto mi riguarda il mio impegno verso la comprensione di come costruire o sviluppare la presenza online di un brand, di un’azienda, di un ente, di un amico etc. partirà da qui.

Costruzione della presenza online di un brand (2/2)

La corretta valutazione della propria presenza online dovrebbe partire dalla definizione del ruolo che dovrebbero avere le tre categorie di online media, e questo non vuol dire che sia necessario investire tempo e risorse in tutte e tre le categorie ma ignorarne una per concentrarsi esclusivamente su un’altra (ad esempio non curare il proprio sito per dedicarsi interamente alla propria fan page su Facebook) è un errore.

Possiamo ad esempio guidare l’utente attraverso un percorso che lo agevoli nella ricerca di informazioni sul proprio prodotto (spot in tv con link del product site, presidio delle keyword relative al copy dello spot sui motori, “infiltration” – che sconsiglio – nei forum per parlare del sito, etc) ma dobbiamo aspettarci che ogni utente decida autonomamente, volontariamente o meno, di seguire un percorso personalizzato, ed essere pronti ad agire di conseguenza attraverso un’attenzione costante a tutta la torta non solo ad una fetta.

Va bene mi sono dilungata un po’ troppo (strano eh?) ma questo secondo trend è quello a cui tengo di più 🙂

Cosa ne pensate? I miei orridi grafici vi hanno fatto chiudere la finestra/tab prima di arrivare qui?

(3. Digitalizzazione dell’universo media)

AGGIORNAMENTO

I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.

 

Trends della comunicazione (secondo me): 1. Brands

Quali sono i principali trends della comunicazione?

Io me lo sono chiesta, come sicuramente molti di voi.

Mi sono chiesta quali tendenze nell’ambito della comunicazione e dell’evoluzione dei media, in particolare online, hanno fortemente influenzato il 2008 e gli anni precedenti e guideranno il 2009 e gli anni successivi.

Ho provato a darmi una risposta, ho provato a tornare indietro nel tempo per ripercorrere la mia esperienza fino ad oggi e capire se era possibile individuare dei trends significativi e tutt’ora in evoluzione.

Mi sono soffermata su questi tre:

Cercherò di spiegarli in maniera sintetica all’interno di tre post distinti perchè qualcuno mi ha detto che "se fai i post lunghi poi finisce che ti emarginano" . Ovviamente li considero uno spunto iniziale per ulteriori riflessioni quindi li riprenderò eventualmente più nel dettaglio in futuri post.

1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand

Si evolve il concetto di brand in quanto non più relativo a prodotti e servizi ma a tutta una serie di nuove categorie.

Harry Potter ha profondamente modificato le logiche del marketing editoriale perchè non è solo il titolo di un libro o il nome di un personaggio di fantasia, bensì un brand che va protetto e custodito. Il libro “Harry Potter – Come creare un business da favola“ si concentra proprio su questo concetto e sul ruolo della Rowling di “custode del brand” controllando personalmente ogni richiesta di estensione del brand (merchandising, trasposizione cinematografica dei libri, parco di divertimenti “The Wizarding World” di Orlando, etc).

Discorso analogo per una serie televisiva come Sex & the City: il lancio del film è stato supportato non esclusivamente ma per gran parte da operazioni di co-marketing: con Mercedes, con Swaroski, con Sephora, che hanno assicurato una visibilità notevole all’evento con una riduzione significativa degli investimenti pubblicitari. Sex & the City non è semplicemente un “contenuto” è un brand.

In generale questo trend si è manifestato in maniera molto forte in tutta l’industria legata all’entertainment; esempi di operazioni di branding molto interessanti per la comunicazione sono arrivati anche dal mondo videoludico (tanto che “il mauri” ha deciso di dedicare a questo tema un blog che vi consiglio di dare in pasto al vostro feed reader): pensiamo al recente caso di Halo 3 e andando più indietro nel tempo al mitico Mario Bros e alla sua seconda giovinezza con la Wii.

Gli stessi media diventano brands: pensiamo alle emittenti radiofoniche come RadioDeejay e magazine come Grazia. In quanto brands possono essere utilizzati in contesti diversi da quello originario, e non mi riferisco solo alla nascita di canali di fruizione del brand diversi come, nel caso della radio, il sito, il social network o il canale televisivo, ma ad esempio all’utilizzo insieme a brand automobilistici per operazioni di co-marketing (C1 Deejay, Renault Modus Grazia, Nissan Micra RDS etc).

Anche le persone diventano dei brand. Recentemente ho parlato del personality brand: le celebrities diventano brand e in quanto tali possono essere soggette ad estensioni (brand extensions): pensiamo ad esempio ai profumi aventi il nome delle celebrità o alle linee di abbigliamento da loro stesse disegnate.

Ho provato a riassumere questo primo trend con un orrido schemino che mi vergogno un po’ a pubblicare ma che spero dia l’idea di cosa intendo quando parlo di evoluzione.

Trends: Evoluzione del Brand

Dal prodotto, ai servizi fino ad arrivare alle nuove categorie descritte sopra a cui sicuramente ne vanno aggiunte altre. Di particolare interesse per chi si occupa di comunicazione online è la presenza di brands forti anche in rete: pensiamo ad esempio alla recente "battaglia" a colpi di video virali tra Apple (I’m a Mac) e Microsoft (I’m a PC) o alle manifestazioni d’amore espresse dagli utenti (brand lovers) nei confronti del browser Firefox e della sua ormai famosa volpe tanto da essere utilizzata sulle carte di credito Visa.

Insomma il trend è ancora vivo e crea nuovi scenari, nuove opportunità ma anche nuove minacce.

Secondo voi come si evolverà?

 

AGGIORNAMENTO

I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.

 

X1 Xperia Test: Lo shopping natalizio

Dopo anni di presenza nella cosiddetta blogosfera è arrivato anche per me il momento del “test”.

Quasi tre mesi fa, mentre ero oltremanica, mi scrive Cristiano (anche se per me è e sempre rimarrà lo Zio) e mi dice:

ti ho inserito in una prima lista di blogger a cui proporre la prova del nuovo Sony Ericsson Xperia. Ti interessa riceverlo e smanettarci a piacimento?

E io

io sono una grande smanettona soft web ma poco hardware quindi il mio benchmark sarebbe molto basso

Io le mani avanti le ho messe ed ho fatto bene, ho già letto alcune recensioni di alcuni amici (che mi sono state utili a capire come sfruttare al meglio questo pezzo avanzato di tecnologia che mi sono portata in giro nelle ultime settimane) e mai potrei pensare di scrivere una recensione così dettagliata e professionale.

Bene e quindi? Va bene, va bene ora vi dico cosa ne penso e quali sono a mio avviso alcuni punti di forza e di debolezza del X1 e poi vi mostro il mio “test”.

L’X1 è un gioiellino e in quanto tale non è per tutti. All’inizio pensavo che non fosse per me. Io prediligo un telefono che abbia alcune funzionalità di un computer non un pc tascabile che sia anche in grado di fare telefonate e ricevere SMS. Io uso il telefono per parlare, inviare messaggi, scattare fotografie, navigare su internet, chattare, twittare, giochicchiare, scrivere note, segnarmi impegni e date di compleanno nel calendario. Invio anche email ma usando Gmail non un client di posta elettronica.

Quindi se il tuo profilo è quello descritto sopra e se non hai intenzione di sacrificare la lunghezza delle tue unghie per essere più comoda a scrivere con la mini tastiera qwerty, allora forse ci sono altri telefoni che possono soddisfare le tue esigenze.

Ma, c’è sempre un ma, l’X1 è pur sempre un gioiellino e se hai la fortuna di averlo tra le mani non riesci a non portarlo sempre con te, a renderlo parte integrante della tua vita e dei momenti della tua giornata (e a sfoggiarlo con amici e colleghi).

Io l’ho fatto, l’ho testato nella mia vita di tutti i giorni e ora vi racconto i risultati del mio "test", ossia l’X1 come strumento di supporto allo shopping natalizio.

QUESITO

Cosa compro alle Pine (alias amiche storiche de LaFra) per Natale?

200812 186

L’IDEA

Trovato! Le città nel sacchetto di Muji. Cosa sono le città nel sacchetto? Questa è Londra, dal sacchetto alla mia libreria.

Londra nel sacchetto - Muji

Compro una città diversa per amica in base al significato che ogni città potrebbe avere per ognuna di loro.

Vado sul sito di Muji per controllare quali città nel sacchetto esistono

200812 174

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Perfetto! Prendo Parigi alla Dani, Barcellona all’Ila, l’Italia alla Vale e New York alla Nò.

Mi reco da Muji in Via Torino.

Muji Via Torino

(foto scattata con l’X1)

L’INTOPPO

Mannaggia! Manca New York e ora? Chiedo alla commessa e mi dice che sono disponibili nel negozio di Corso Buenos Aires.

Esco dal negozio. Passa un giorno. Sono pronta per completare la missione "città nel sacchetto".

Mi reco in Corso Buenos Aires.. sì ma quale numero? Corso Buenos Aires è lunghissimo!

Rivado sul sito di Muji, controllo il numero civico e vado su Google Maps per vedere a che altezza è.

200812 179

200812 180

 

IL LIETO FINE

Missione compiuta. Ogni amica ha ora la sua città nel sacchetto 🙂

Le Pine con le città nel sacchetto

GRAZIE

Grazie allo Zio per avermi dato la possibilità di testare l’ "icsuno". Mi sono proprio divertita 🙂

LaFra si diverte con l'X1

Widgets Marketing: successo o flop?

Su Adage circa un mesetto fa è stato pubblicato un lungo articolo sui widgets e sul loro utilizzo in questi ultimi anni da parte delle aziende.

La premessa dell’articolo è che i widgets sulla carta sono uno strumento di marketing efficace ("the highest expression so far of online marketing in this Post-Advertising Age") ma che nonostante le grandi aspettative (Newsweek e Om Malik di GigaOm avevano dichiarato che il 2007 sarebbe stato l’anno dei widgets) in pochi sono riusciti a sfruttarne pienamente le potenzialità.

Ho provato ad estrapolare i punti chiave dell’articolo per cercare di fare (farmi) chiarezza su questo tema.

TIPOLOGIE DI WIDGETS

(Questa parte nell’articolo non è presente, ma preferisco aggiungerla per chiarire alcuni concetti che potrebbero essere fonte di dubbi)

Se volessimo dividere i widgets in macrocategorie potremmo distinguerne a mio avviso tre:

  • Web Widgets: I Web Widgets sono micro-applicazioni che propongono contenuti digitali da inserire direttamente nel tuo blog, semplicemente copiando ed incollando un codice. E’ possibile inserirli anche all’interno di una pagina web e in pagine di social networking come MySpace [via robingood].
  • Desktop Widgets: I Desktop Widgets sono alla stessa stregua dei web widgets delle mini-applicazioni che consentono ai siti di distribuire i propri contenuti al di fuori degli stessi ma in questo caso vengono scaricati ed installati sul proprio desktop. Le principali differenze con i web widgets sono quindi:
  1. Vivono in maniera autonoma rispetto al browser
  2. Possono interagire con le risorse locali del proprio pc
  3. Possono essere utilizzati, se previsto, in modalità offline
  • Mobile Widgets: I Mobile Widgets nascono come conseguenza del diffondersi sempre più massiccio, e dell’ipotetico successo, delle prime due tipologie. Possiamo considerarli una categoria a sè perchè spesso hanno una vita totalmente indipendente sia da un punto di vita dello sviluppo sia dell’utilizzo da parte dello user.

Tenere a mente questa distinzione è molto importante anche dal punto di vista del marketer perchè l’utilizzo di una o dell’altra tipologia è associato ad una motivazione diversa da parte dell’utente.

RUOLO DEI WIDGETS PER L’UTENTE

L’articolo si concentra sulle prime due categorie di widgets quindi in questo post farò altrettanto. Per quanto riguarda i mobile widgets tuttavia vi consiglio il white paper di little springs design inc. (scaricabile dopo aver lasciato i propri dati) dove ci sono alcune considerazioni interessanti sui limiti dei mobile widgets lato sviluppatore e utente.

Tornando ai web e desktop widgets è facilmente intuibile come la motivazione che guida l’utente ad utilizzare una o l’altra categoria siano diverse: se io utente aggiungo un widget sul mio blog o sulla mia pagina personale di Myspace o Facebook lo faccio perchè voglio comunicare qualcosa di me, ad esempio che utilizzo un determinato servizio, che sono un fan di un determinato brand oppure perchè voglio fornire un servizio ai miei "lettori".

Scelgo un web widget per gli altri più che per me.

Se scarico un desktop widget la mia scelta è dettata da criteri diversi rispetto all’espressione personale e al tipo di utilità: deve essere utile e/o divertente, ma principalmente per me, in quanto solo io accederò al widget.

RUOLO DEI WIDGETS PER IL MARKETER

Il ruolo giocato dai widgets nel marketing online può essere rappresentato con questa equazione

marketing : specialties = online marketing : widgets

Le specialties descritte nell’articolo sono semplicemente i gadgets aziendali, iniziative di comunicazione dove il brand viene fatto vivere in contesti non direttamente associabili alla pubblicità tradizionale dei mass media: i magneti per il frigorifero, la tazza, il portacenere, l’agenda etc, strumenti pubblicitari che hanno l’obiettivo di ricordarti in momenti diversi della tua giornata che il brand può o è entrato a far parte della tua vita, in maniera semplice, a volte utile e poco invasiva. I widgets analogamente possono inserirsi altrettanto semplicemente nella tua vita online, nei contesti e luoghi digitali dove sei già presente o dove “passi” spesso perchè fanno parte delle tue abitudini di navigazione del web e di esplorazione e utilizzo dei tuoi device (pc, telefono, PDA etc.)

PUNTI DI FORZA DEI WIDGETS

Il principale punto di forza del widget è nella sua natura ed è la possibilità di distribuire in maniera semplice i contenuti del proprio sito in blog ed altri ambienti online e offline aumentando quindi le occasioni di fruizione degli stessi. Per quanto popolare può essere il tuo sito la realtà è che i tuoi utenti visitano molto più spesso Facebook, MySpace, Google, Yahoo, etc. Nell’articolo si parla della "morte del destination website" e quindi i widgets rispondono in questo caso ad un’esigenza vecchia come il cucù: se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.

Gli altri punti di forza individuabili sono:

  1. è curioso, o meglio attira curiosità, analogamente a quanto succede con i gadgets
  2. è a portata di mano (anzi di click) ed è immediato, può essere utilizzato più volte
  3. è (potenzialmente) viral
  4. è (relativamente) economico
  5. è (o meglio può essere) utile, e quindi può attribuire un’immagine positiva all’azienda che lo ha realizzato o sponsorizzato
  6. è trackabile / misurabile, quindi ci può fornire informazioni sul comportamente dell’utente

PUNTI DI DEBOLEZZA DEI WIDGETS

  1. Non standardization: per consentire la fruizione del widget a tutti è necessario prevederne la realizzazione in diversi formati Ie il test!) al fine di essere compatibile con le diverse piattaforme, iGoogle, Facebook, MySpace, mobile, desktop, etc.
  2. Scarsa rilevanza per low-interest categorie: c’è differenza se il widget lo fa Nike o se lo fa Vileda (non ce l’abbiano con me quelli di Vileda, è il primo brand "low-interest" che mi è venuto in mente).
  3. Costo: il costo di creazione dei widget è relativamente basso ma non si può dire altrettanto della sua distribuzione/promozione
  4. Shelf Space: non possiamo aspettarci che l’utente consideri lo spazio da riservare ai widget illimitato, sia esso rappresentato dal proprio blog / pagina personale o dal proprio desktop.

CASE STUDIES

Nell’articolo vengono citati diversi esempi di branded widgets di rilievo, questi sono quelli che ho preferito:

Miles / Nike +: Miles è un avatar 3D da installare sul proprio desktop che ci incoraggia ad andare a correre insieme al nostro iPod corredato di Nike + , ci informa sul meteo, sugli eventi, sulle promozioni ed organizza i nostri feed RSS.

UPS Widget: analogamente a Miles anche in questo caso si tratta di un simpatico personaggio che ci aiuta ad organizzare e tenere traccia delle nostre spedizioni.

CokeTags:

A CokeTag is a fun, personal widget for packaging and sharing links to content across the Web. Use CokeTags to promote yourself — your blog, work, interests, team, band or whatever you like or care about — and then track how influential you are!

CONCLUSIONI

I widget sono relativamente semplici da creare e da utilizzare ma se vogliamo utilizzarli come leva di marketing dobbiamo tenere in considerazioni tutta una serie di aspetti. Dobbiamo farci delle domande, le prime che mi vengono in mente sono:

  • Qual è la motivazione che spingerebbe l’utente ad utilizzare il mio web widget? Se sono un brand con un’immagine forte posso pensare di realizzare un web widget e sperare che gli utenti lo aggiungano alle proprie pagine personali. Se sono un brand appartenente alle categorie definite "low interest" forse il web widget non è consigliabile ed è meglio  puntare su altre motivazioni che non siano l’espressione personale (ad esempio l’utilità come ha fatto UPS).
  • Il mio desktop widget è davvero utile per l’utente? Non innamoratevi del vostro widget, testatelo, fatelo provare a persone diverse, cercate di capire se l’utente lo troverebbe davvero utile, lo utilizzerebbe e lo consiglierebbe ai suoi conoscenti.
  • Il mio utente sa cos’è un widget? Sa a cosa gli potrebbe servire? Attenzione perchè il termine widget non fa parte del bagaglio lessicale di tutti gli utenti. Innanzitutto il widget in quanto tale viene spesso definito in modi diversi: applicazione, badge, utility, etc. inoltre proprio come nel caso dei gadgets si ha la sensazione che il widget sia per natura inutile, una "digital cavolata".
  • Come farà l’utente a trovare il mio widget? Creare un widget e metterlo nel proprio sito non basta per farlo girare nel web, è necessario prevedere un investimento minimo per la sua distribuzione/promozione online e magari offline.
  • Che ruolo ha il widget per il mio brand? Tattico o strategico? Come sempre è necessario avere bene in chiaro gli obiettivi che ci spingono ad investire nella creazione, distribuzione e promozione del widget, tenendo ovviamente in considerazione che il widget da solo non fa miracoli ma deve essere inserito in un’adeguata strategia di comunicazione dove avremo già studiato il nostro target, le loro abitudini di consumo, il loro utilizzo dei mezzi e il ruolo del brand nelle loro vite. Vogliamo creare awareness? Vogliamo attivare un nuovo canale di comunicazione / interazione con l’utente? Vogliamo aumentare le occasioni d’uso del nostro prodotto? etc.

Credo di potermi fermare qui per il momento. In realtà credo che questo tema sia davvero interessante, come ho manifestato in passato, e spero si continuerà a parlarne.

Voi cosa ne pensate? Utilizzate i widgets (sia users che marketers)?

 

Un blog per parlare di me, di lei e dell’altra

“Di cosa parla il tuo blog?”

Quando qualcuno mi chiede di cosa parla il mio blog vado in crisi. Un blog che si chiama “Simply My Blog” fa intuire che si tratta di un blog personale, e infatti lo è, il problema è che quando “personale” si riferisce a tante persone compresse in una c’è la necessità di aggiungere qualche dettaglio in piu rispetto alla description nella header:

“LaFra nel web, Francesca Casadei all’anagrafe, Digital Strategist in ufficio. Qualcuno mi definisce anomala, altri istrionica, altri geek, altri bionda. Qui trovate tutte le “me” possibili”

Francesca Casadei nasce il 19 maggio 1980 a Londra perché la mamma è inglese. La famiglia paterna vive a Roma. Lei vive a Milano. Insomma un mix di culture che si riflette nella sua capacita di sentirsi a suo agio nei contesti più disparati: dall’aperitivo milanese, alla pinta post lavorativa londinese, dal pranzo di Natale lombardo, ai piatti pronti di Sainsbury.

LaFra nasce il 9 giugno 2006, data in cui ha scritto il primo post intitolato “Everything But Advertising”, un evento in cui ha sentito dire che la differenza tra il blogger e il giornalista è che il primo scrive solo se ha qualcosa di interessante da dire. Il suo pensiero fu: “Osservazione interessante, quasi quasi domani ne parlo sul mio blog 😉

La Digital Strategist nasce nel novembre 2007 in deepblue (gruppo Aegis Media) e cresce in MEC dal 2011. Una scelta professionale che le sta dando tantissime soddisfazioni: la piu’ importante l’ha avuta a Giugno 2008 vincendo la Young Lions Media Competition ai Cannes Lions (tiriamocela un po’ dai)

Vita personale, professionale, virtuale si contendono la mia attenzione nei post che scrivo. Mi lascio guidare dalla mia continua ricerca di ispirazioni e dalla assoluta convinzione che quelle migliori arrivano sempre attraverso la condivisione dei propri pensieri con gli altri.

Per questo motivo sono capace di passare da temi diciamo piu’ impegnativi, professionalmente parlando, come l’evoluzione dell’offerta pubblicitaria online verso il social e l’utilizzo dei sistemi di microblogging come strumento di PR, a quelli legati alle emozioni di una vita virtuale che diventa sempre piu reale quando i nickname diventano persone in carne e ossa che hanno una voce e un sorriso, fino alla condivisione di aspetti squisitamente legati alla propria vita privata come viaggi e acquisti.

La verita’ e’ che in ogni tema che affronto c’e’ un po’ di ognuna di queste persone: se parlo del mio viaggio a Disneyland poi mi soffermo sulla visibilita degli sponsor (ah la deformazione professionale!), se mi soffermo ad analizzare una campagna di comunicazione online lo faccio prima come utente e poi come addetta ai lavori.

So che suona molto profetico e idealista ma adoro la comunicazione in tutte le sue forme: personale, digitale, pubblicitaria. Il mio obiettivo e’ capire e poi far capire come questi siano aggettivi comuni ad un solo fenomeno e non siano tre attivita distinte.

Questa settimana mi trovate su Grazia

Proprio cosi’! La redazione di Grazia mi ha invitato a scrivere nel loro blog come guest blogger della settimana.

Il primo post riguarda le domande che noi temiamo per diversi motivi:

  • Domande a cui e’ difficile dare una risposta sintetica
  • Domande a cui rispondiamo con una piccola bugia per comodita’

Dai commenti e’ gia’ emersa anche un’altra categoria:

  • Domande che semplicemente ci irritano e tirano fuori il lato peggiore di noi eheh

Il titolo del post e’ legato al fatto che una delle domande che mi mette piu’ in crisi e’ "Che lavoro fai?".

L’altra e’ "Di cosa parla il tuo blog?" 😀

Vi aspetto "di la’" 😉