Farmville: Gaming, Target, Business, Advertising

Puoi amarlo o odiarlo ma difficilmente si può ignorare un fenomeno come quello di Farmville, il social game con oltre 80 milioni di active users mensili che allo stato attuale è sia l’applicazione Facebook di maggiore successo sia il gioco più diffuso al mondo.

Inevitabilmente Farmville è entrato sia nella mia vita personale sia in quella professionale.

Per quanto riguarda la prima, contrariamente a quanto si possa pensare, non direttamente, ossia non giocando, non raccogliendo le patate, non andando alla ricerca di neighbours per "espandere" la farm, bensì cercandoli per mia madre.

Sì, avete capito bene.

Notare la mia farm (creata appositamente per questo screenshot) e la sua.

Grazie a lei mi sono fatta una cultura sulle dinamiche di gioco e soprattutto sulle leve che lo hanno portato ad essere così diffuso. Le spiega in maniera molto semplice Federico Fasce in una recente presentazione dedicata al gioco come elemento di innovazione nella comunicazione aziendale.

Da un punto di vista professionale Farmville è un fenomeno decisamente affascinante per molti aspetti: gaming, target, modello di business, strumento di comunicazione e advertising. A questo proposito ho pensato di condividere su Slideshare un powerpoint in cui ho raccolto alcuni key facts a mio avviso interessanti relativi a questo fenomeno.

 

Sono testarda. E me ne vanto.

"Tu sei toro allora sei cocciuta”

“Sì è vero. Ma ti dirò un’altra cosa. I tori sono talmente testardi da avere sia la pazienza sia la capacità di spiegare le proprie ragioni”

“Forse alla fine riuscite ad avere ragione per sfinimento”

Sì, mi sa che sono fatta così. Cerco di convincere gli altri delle mie ragioni. Mi ricordo quando frequentavo l’università: io e la mia compagna di banco studiavamo insieme ed eravamo preparate allo stesso modo ma alla fine io prendevo voti più alti dei suoi perché io ero davvero convinta di quello che dicevo mentre lei tentennava alla prima obiezione del professore. La faccia convinta non è la faccia da culo, non fraintendiamo. Non c’è falsità. Non c’è finzione. La convinzione è un’altra cosa.

“Hai detto che ho ragione? Puoi ripeterlo per favore?”

“Sì, hai ragione”.

Come mi pesa dare ragione, ma l’ho fatto. Davvero. Sarà il segno zodiacale ma sono fatta così, devo sbatterci la testa, o come si suol dire le corna, e come San Tommaso se non vedo, non tocco, non credo.

Sì, sono fatta così. Non fraintendetemi, non voglio avere ragione a prescindere. Ascolto, rosico, e poi sono capace di ammettere che mi sbagliavo. Beh, magari non completamente. Ok, sto cercando di convincervi che non posso davvero aver sbagliato qualcosa. Magari qualche errore di valutazione. E poi, sto cercando di convincere voi o me?

Forse ho dato ragione perché volevo essere dalla parte della ragione. Forse non è vero che voglio avere sempre ragione, forse voglio solo essere dalla sua parte, fa vivere meglio.

“E sticazzi, chi vuole vivere dalla parte del torto?”

Eppure io qualche volta dalla parte del torto ci sono stata.

Delete.

Ctrl+Z.

Ma sì tanto vale lasciarla lì quella parolina tanto temuta, negata e schivata (anche un po’ schifata). Torto.

È vero, una donna è libera di stare con diversi uomini sbagliati fino a quando non trova quello giusto. Anche essere la donna sbagliata però. E poi diciamocelo, si può davvero essere il partner sbagliato di qualcuno? Ok, ci sto provando di nuovo. Però dai, provate a non darmi ragione.

È la dura lotta dell’essere umano, combattuto tra razionalità e passionalità. Amiamo e odiamo l’una e l’altra con la stessa intensità. In realtà riuscire ad odiarle e amarle è un lusso che pochi si possono permettere. È un lusso riuscire a farle convivere entrambe dentro di sé.

O forse è solo un’altra testardaggine della quale cercherò di convincervi.

PS E comunque oggi ho vissuto qualche piccola bella sorpresa che mi ha fatto sorridere. E tutto questo, perché in fondo in fondo, ma molto in fondo e ci aggiungo anche un forse, avevo ragione.

Punto (dicesi un post personale).

Ecco, io raramente scrivo post personali, ma oggi mi prende così.

Sono una persona fortunata io, non è la prima volta che lo dico. Oggi si festeggia la festa del papà. Ho chiamato il mio papà per fargli gli auguri. Alle 1815. Scherzando mi ha detto che sicuramente l’ho fatto perché me lo ha ricordato mia madre. Aveva ragione, me lo aveva scritto su messenger già un paio di volte mentre ero in ufficio, ma non mi sarei dimenticata. Ci tengo alle feste. Sarà il mio retaggio inglese. L’economia inglese si basa sui pretesti per festeggiare. Mi ricordo quando una volta ho visto nelle vetrine di una pasticceria nel Kent delle confezioni regalo per la “festa della maestra” e mi sono chiesta se fosse fattibile una cosa del genere in Italia. Dura vita quella delle maestre.

Ho amici che oggi ricordano padri che non ci sono più. Io ho chiamato mio padre alle 1815. Sono una persona fortunata. Sì, sono fortunata.

Se ho qualcosa che non va ho sempre qualcuno che me lo fa notare. Da qualche mese sono in molti a farmelo notare. Forse quel qualcosa, o era un qualcosa diverso, si notava anche prima ma era più facile da giustificare. Facile. Che strana sensazione usare la parola facile associata a scelte così difficili. Scelte, non scelta, perché quando devi prendere una scelta quelle difficili si mettono in coda prendono il numerino e aspettano il loro turno. E io non sopporto le file. Non tollero perdere tempo.

Gli amici mi chiedono come sto e io rispondo “Si bene dai”. E dentro quel “dai” ci sono sere e sere passate a pensare a me stessa, ad ascoltare canzoni in modalità repeat fino a quando qualcosa ti distrae, a ripetermi che non mi manca assolutamente niente, e altre cose indicibili in un post personale sporadico da pubblicare in un blog che di personale ormai ha poco se non il punto di vista dell’autrice nell’affrontare temi professionalmente interessanti ed in generale il suo lavoro. Sì, anche quando tocca fare i conti con i punti di vista altrui.

Punti di vista. Punti. Sì forse quello che mi manca sono dei punti. Punti di riferimento. Punti fermi nella mia vita. O forse no. Forse mancano dei punti di sospensione. Forse manca solo un po’ di punteggiatura, una virgola qua e là, un punto a capo, un punto esclamativo, di sicuro non mancano i punti interrogativi. Per ogni punto interrogativo dovrebbe esserci almeno un punto esclamativo o un punto a capo.

La prossima volta che mi chiederai come sto e ti risponderò “Sì bene dai” sappi che sto bene. Davvero. Sì, perché sono fortunata. Lo so. Ne sono consapevole. Mi manca giusto qualche punto.

Intanto metto qualche puntino sulle i. Sono importanti. Colmano l’approssimazione e l’incertezza. Almeno quelli ogni tanto so dove piazzarli.

Punto.

iPad: nuovo device, nuove opportunità?

In questo ultimo periodo si è sentito tanto parlare del fenomeno iPad, il nuovo device di Apple presentato da Steve Jobs.

Ho letto diversi post sul tema per cercare di farmi un’opinione e ancora non ci sono riuscita ma proverò a riassumere comunque alcuni temi chiave e a condividere qualche riflessione.

Perchè l’iPad sta suscitando tanto interesse?

Innanzitutto perché è Apple, l’azienda che dopo aver rivoluzionato il mercato dell’hardware e quello della musica digitale ha stravolto anche quello della telefonia cellulare con il lancio dell’iPhone e del suo App Store. Quindi la seconda domanda sorge spontanea:

L’iPad sarà un altro device di successo?

Come sempre ci sono gli entusiasti e gli scettici.

Partiamo dalla prima categoria di cui il leader è ovviamente Steve Jobs. Secondo Jobs iPad è migliore di un iPhone e migliore di un computer relativamente ad una serie di task: browsing, email, photos, video, music, games, ebooks. Se da una parte, infatti, lo schermo più grande consente una migliore fruizione di pagine web, foto, video ed in generale delle applicazioni rispetto ad un telefono cellulare, dall’altra l’assenza della tastiera elimina un ingombro non necessario quando si vuole utilizzare un device principalmente per navigare, leggere, e più in generale per scopi non professionali. Jobs definisce l’esperienza di utilizzo di un iPad più "intima" rispetto ad un laptop.

Gli stessi punti di forza vengono visti dagli scettici come punti di debolezza: se una persona ha già a disposizione un iPhone e un laptop non ha bisogno di un iPad.

Il task sul quale tuttavia si stanno scornando (si fa per dire) scettici ed entusiasti è l’ultimo: ebooks.

L’iPad è un rivale di Kindle e dei suoi fratelli?

Ho recentemente lanciato una specie di sondaggio su Friendfeed per mettere a confronto i due prodotti e vedere le reazioni spontanee.

Riassumendo (e banalizzando) si potrebbe dire che le possibili risposte sono di due tipi:

  • Sì, hanno più o meno le stesse dimensioni ed entrambi permettono di leggere eBook.
  • No, sono due prodotti diversi destinati a due target diversi con bisogni diversi.

Tra i Sì abbiamo le seguenti varianti:

  • Sì, ma è meglio Kindle perchè ha la tecnologia adatta per leggere libri interi in formato digitale
  • Sì, ma è meglio iPad perché ha molte più funzionalità rispetto a Kindle, non è solo un ebook reader.

Ci sono tantissimi post e articoli che mettono a confronto i due prodotti quindi evito di dilungarmi sull’argomento.

Per quanto mi riguarda la mia risposta è “Sì hanno più o meno le stesse dimensioni ed entrambi permettono di leggere eBook” e mi sembra eccessivo affermare che si tratta di due prodotti diversi, con target diversi e in grado di soddisfare bisogni diversi.

Sono assolutamente d’accordo con chi dice che per leggere un libro di narrativa è meglio Kindle, ed in generale la categoria dei reader dotati di schermo e-ink ma è anche vero che ci sono tantissimi altri libri che si prestano ad una modalità di lettura più “snack” come ad esempio una guida di viaggio, un manuale di istruzioni, un vocabolario o un libro di normativa come il Codice Civile.

Avere la possibilità di portarsi in viaggio cinque guide non una può essere un grosso vantaggio, magari insieme ai libri di arte con la descrizione dei quadri che andremo a vedere, per non parlare dell’opportunità di cercare una legge semplicemente inserendo nel campo di ricerca il numero o la descrizione e non dovendo aprire un grosso e pesante tomo scomodo se si è in movimento.

Ho sempre pensato che gli e-reader in generale potessero avere un punto di forza rispetto alla carta in questo genere di pubblicazioni, ma ammetto che la mia convinzione è legata al fatto che in questo momento preferisco ancora leggere un libro sfogliandolo, sottolineando i passaggi che più mi colpiscono a matita e mettendo le orecchiette alle pagine per ricordarmi a che punto sono arrivata.

L’arrivo dell’iPad ha rafforzato ulteriormente il mio pensiero, facendo un passo in avanti. Se il vero successo dell’iPhone è strettamente legato al mercato delle apps, il successo dell’iPad sarà credo legato alla capacità di sviluppare un’offerta di prodotti editoriali, ed in generale di applicazioni, in grado di sfruttare al massimo le potenzialità del device.

Provo a fare qualche esempio:

  • Un libro di arte con una navigazione interattiva: toccare diversi punti del dipinto per avere ulteriori dettagli, cliccare sul nome dell’artista per vedere altri dipinti e vederli geolocalizzati (e magari scoprire mentre si è al Musée d’Orsay che a Parigi esiste un intero Museo dedicato a Picasso)
  • Una guida di viaggio con integrato Google Maps
  • Libri di storia in grado di farci rivivere davvero il passato: se mi trovo al Circo Massimo potrò vedere nello schermo del mio iPad una rappresentazione di quello che era quel prato verde duemila anni fa (mi viene voglia di tornare studente al solo pensiero) e magari vedere la corsa delle bighe di Ben Hur.
  • Libri di advertising multimediali: invece di ingegnarsi a trovare delle modalità comode per visionare i link inseriti in libri di marketing e advertising come nel caso di Invertising di Paolo Iabichino sarà possibile visionare direttamente sull’iPad i video delle campagne citate e approfondire i case study.
  • Librogame “infinito”: vi ricordate i librogame, i libri in cui la storia dipendeva da alcune scelte che si prendevano nel corso della lettura con la possibilità di avere diversi finali e diversi percorsi da seguire? Con un iPad si potrebbe costruire un librogame potenzialmente infinito, da aggiornare con nuovi percorsi e nuovi finali.
  • Comics "personalizzati": recentemente mi è capitato di notare diversi tool e attività di comunicazione in cui viene richiesto di creare personaggi dei fumetti; all’interno di un libro di comics interattivo si potrebbe dare la possibilità al lettore di creare il proprio personaggio e vederlo prendere vita all’interno di un racconto. I fumetti in generale meglio si prestano per uno schermo a colori come quello dell’iPad rispetto a quello in bianco e nero degli altri e-reader sul mercato (e a questo proposito già si parla di un futuro Kindle a colori in grado di contrastare la possibile concorrenza dell’iPad).

Non mi sono soffermata sulle possibili implicazioni “social” di un prodotto editoriale creato appositamente per l’iPad. Nel post “What, Who, Where (e When): qual è il futuro dei servizi online?” avevo immaginato un servizio in grado di segnalarmi il ristorante giusto in base ai criteri che avevo indicato (What = cucina indiana), vicino al luogo in cui mi trovato (Where), con giudizi positivi da parte dei miei amici che ci erano già stati (Who) recentemente (When).

Ora mi immagino una guida di viaggio con inserita all’interno questa applicazione. Le apps sviluppate per l’iPhone possono quindi arricchire i prodotti creati per l’iPad.

Quali possono essere quindi le opportunità legate all’arrivo di iPad? E chi può giovarne?

Le opportunità possono essere potenzialmente molte e ne possono giovare in tanti: sviluppatori, editori, brand, il mercato delle apps è “aperto” a differenza di quello editoriale.

In particolare ho letto articoli con toni speranzosi e ottimisti nei confronti di

  • Editori di magazine: l’iPad potrebbe essere il device che dà finalmente nuova vita ai magazine, grazie allo schermo a colori e alla navigazione multimediale. Condè Nast ha già annunciato lo sviluppo di un’applicazione iPad per GQ e in futuro per Wired (US ovviamente). Un articolo interessante per approfondire questo tema è “Can E-readers and Tablets Save the News?” di Mashable
  • Sviluppatori di gaming: le caratteristiche tecniche dell’iPad, in primis il touch screen, sono ideali per alcune categorie di game come i giochi di strategia, i physics games come Crayon physics e i board games (su uno schermo grande come quello dell’iPad si potrebbe giocare a Monopoli o a dama su un unico device). Vi consiglio di leggere “10 Potential iPad Games and Concepts to Build (Plus Bubble Ghost)”.

L’ultima categoria di aziende e persone che potrebbe avvantaggiarsi dell’arrivo dell’iPad è rappresentato da coloro che saranno in grado di sfruttare l’effetto “iPad fevercreando gadget e merchandising dedicato: in questo senso un caso emblematico è rappresentato da iMaxi l’iPad case a forma di assorbente creato sulla scia degli sfottò generati da uno dei possibili significati del termine Pad (non solo taccuino ma anche pannolino).

In generale il mio consiglio è di non sottovalutare l’iPad perchè i limiti tecnologici si superano e le potenzialità di sviluppo di un mercato legato a questa categoria di device e ai relativi prodotti mi sembra ci siano.

In attesa di farmi una vera e propria opinione monitoro le valutazioni e i commenti degli altri. A questo proposito ho salvato i link che ho trovato interessanti su delicious con il tag ipad delicious.com/lafra80/ipad.

Valorizzare il product placement: il caso Alfa MiTo Nine

Quando un anno fa vi ho parlato per la prima volta di quelli che secondo me sono i principali trend della comunicazione ho iniziato con l’evoluzione del brand spiegando che se da una parte lo stesso non è più relativo unicamente a prodotti e servizi dall’altra è spesso soggetto ad esperimenti di ibridazione volti a creare nuovi universi valoriali accostando due brand apparentemente molto diversi ma che in realtà possono avere in comune il target, la brand equity, codici di comunicazione, etc.

I casi che ho segnalato provengono dal mondo dell’automotive: Citroën C1 Deejay, Renault Modus Grazia e Nissan Eco Micra RDS sono modelli nati dall’accordo tra un product brand e un media brand.

Nel 2009 questo trend è stato cavalcato da Fiat e dalla sua 500 con il lancio di due modelli davvero notevoli

Fiat 500 Diesel

la 500 by DIESEL è una variazione sul tema 500, ideata per conquistare gli amanti della moda, tendenzialmente giovani, interessati ad un allestimento dell’auto ancora più ricercato e per certi versi eccentrico. A cominciare dal colore della carrozzeria, “verde DIESEL” come la livrea dell’elicottero personale di Renzo Rosso. E poi ci sono degli speciali cerchi in lega da 16 pollici caratterizzati dal logo DIESEL e che lasciano vedere tra le razze le pinze dei freni verniciate di giallo […] 

e Fiat 500 Barbie

La Fiat 500 Barbie è caratterizzata da una serie di dettagli che richiamano in maniera esplicita il personaggio Mattel e il suo mondo; a partire dalla vernice scelta per la carrozzeria, un rosa laccato che ricorda le vernici da manicure, agli interni rosa-crema con numerosi particolari “Glitterati” che impreziosiscono gli esterni e l’abitacolo, come i sedili rifiniti col lamine argentate o i tappeti con vera seta naturale.

Il 2010 invece si apre con Alfa MiTo Nine, la nuova versione speciale della MiTo che Alfa Romeo ha presentato in concomitanza con l’uscita nelle principali sale cinematografiche italiane del film ”Nine”, diretto da Rob Marshall e che vede tra i protagonisti Daniel Day-Lewis, Nicole Kidman, Penelope Cruz e Sophia Loren.

A un prezzo di listino di 1.400 euro (IVA inclusa), il Pack "Nine" prevede cerchi da 16” Elegante, tetto verniciato nero e trattamento satinato per maniglie, calotte degli specchi e cornici dei fari. Invece, nel caso dell’allestimento Distinctive e ad un prezzo di 1.700 euro (IVA inclusa), il Pack "Nine" offre cerchi da 17” Elegante, sedili in pelle, regolazione lombare del sedile del passeggero anteriore, tetto verniciato nero e trattamento satinato per maniglie, calotte degli specchi e cornici dei fari. 100119_AR_MiToNine_02.jpg E perché la versione speciale "Nine"? Alfa Romeo celebra un importante "product placement": per la pellicola americana, ambientata in gran parte in Italia, è stata "scritturata" una splendida Alfa Romeo Giulietta Spider del 1955 [fonte blogosfere.it]

Da diversi anni il settore automotive si lega al cinema per le sue attività di comunicazione, non esclusivamente di product placement, pensiamo ad esempio alla partnership tra la nuova Peugeot 5008 e L’era glaciale, tra la Mazda CX-7 e Avatar, e tra Mercedes e Sex & the city, collaborazione confermata anche per l’uscita del secondo capitolo della trilogia cinematografica; è la prima volta, invece, che noto il nome di un film sulla carrozzeria e sul listino prezzi di una vettura e non solo come tema di comunicazione di una campagna pubblicitaria.

Vorrei quindi condividere alcune considerazioni:

  • Ogni attività di comunicazione può diventare a sua volta contenuto di comunicazione: l’attività di product placement in questo caso diventa il tema centrale dello spot televisivo e del minisito dedicato al prodotto.
  • Internet è il mezzo ideale per la valorizzazione di un’attività di comunicazione nel momento in cui non solo viene utilizzato per darle ulteriore visibilità rispetto ai mezzi offline ma per veicolarla come un vero e proprio contenuto. Pensiamo ad esempio alle opportunità che offre una sponsorizzazione come ad esempio ha fatto Peroni, sponsor ufficiale della nazionale italiana di rugby, creando il sito internet tuttorugby.it.
  • Tuttorugby.it

  • Sempre di più la comunicazione richiede il coinvolgimento dell’area di product management e di innovation in modo che sia il prodotto in primis ad abbracciare i temi e i valori trasmessi: dal packaging alla carrozzeria. A questo proposito un esempio calzante è il caso delle patatine Walkers con l’iniziativa “Do us a flavour” di cui vi ho parlato l’anno scorso.
  • Walkers VOTE FOR ME

 

Idee regalo da comprare online: i miei acquisti natalizi

In questi giorni il mio conto corrente ha avuto un gran scossone identificabile nell’addebito delle operazioni di dicembre con carta di credito. Ovvia conseguenza di una pratica (la quale nel mio caso sta diventando sempre più una consuetudine) che è quella di comprare i regali online. Ho pensato di scrivere un post con alcuni dei miei acquisti e relativi consigli perchè oltre a poter tornare utile l’anno prossimo può dare qualche spunto per idee regalo non solo natalizie.

M&M’S personalizzate

Adoro il sito delle M&M’S, mi piace spesso segnalarlo come un ottimo esempio di Owned Media e quest’anno ne ho avuto la conferma dopo aver effettuato il mio primo ordine nello shop. In particolare ho acquistato le personalized M&M’s, personalizzabili sia nel colore (è possibile scegliere due colori), sia nel testo, sia nel packaging.

Ho comprato due formati diversi: un packaging medio con M&M’s fucsia e arancione e la scritta

🙂 XMAS

Le Pine

(ve lo ricordate il regalo dell’anno scorso?)

Questo, invece, è il secondo, più piccolo, e con la scritta

🙂 XMAS

LaFra

un pensierino per qualche amichetta e per i miei colleghi

Personalized M&M's

Vi consiglio di dare un’occhiata anche agli altri articoli, dalla cancelleria agli articoli casalinghi, tutti coloratissimi e divertenti.

Gadget Lego

Sia io sia il Mauri siamo grandi fan della Lego e adoriamo navigare nello shop online alla ricerca di gadget.

Per Natale ho deciso di comprargliene qualcuno. Inizialmente avevo optato per la vaschetta per il ghiaccio per creare cubetti a forma di mattoncino insieme ad alcuni articoli di cancelleria.

 

Ho effettuato l’ordine con un certo anticipo, mi è arrivata la conferma via email e dopo una settimana ho provato a controllare lo stato. Non riuscendo a trovare il tracking ho scritto alla Lego che mi ha risposto dicendomi che l’ordine era stato annullato perchè non risultava pagato. Può succedere, ma avrebbero potuto sollecitare il pagamento o comunque avvisarmi dell’annullamento.

Risultato: dopo aver insultato la Lego in tutte le lingue possibili, ho effettuato un nuovo ordine, ho rinunciato alla vaschetta per il ghiaccio (sold out!) sostituendolo con la sveglia di Star Wars, e a Natale Mauri ha ricevuto un biglietto con stampate le immagini dei regali che avrebbe ricevuto.

(22 dicembre)

(7 gennaio)

Flip & Tumble

Segnalazione di Girl Geek Life. Le Flip & Tumble bags sono shopper da portare comodamente in borsetta perchè portano via pochissimo spazio, per la donne attente all’ambiente.

Belle vero? Peccato che non siano ancora arrivate. Oltre a qualche giorno di ritardo nella consegna devo ancora pagare la tassa per la dogana, che è in più rispetto al costo della merce e di spedizione, e non si paga al momento dell’ordine ma prima della consegna.

Conseguenza: per evitare di presentarmi senza regalo ho dovuto comprare delle borsette analoghe da Moronigomma. Deciderò cosa farmene di tutte le bags ordinate!

Biglietti per il teatro

Una bella idea da tenere sempre presente è il biglietto per un concerto o per uno spettacolo teatrale. Quest’anno ho regalato i biglietti per la Bella e la Bestia (meraviglioso!)

e per We Will Rock You.

Su Ticketone è possibile anche acquistare una gift card da 50 e o da 100 euro con un codice da inserire sul sito al momento della prenotazione. Recentemente ne ho comprata una per una mia amica ed essendomi ridotta al giorno stesso del compleanno per prenderla ho cercato il punto vendita più vicino nella sezione "Dove trovare la nostra Gift Card". Mi sono recata presso due degli indirizzi indicati e ho trovato due palazzi con uffici di diverse società, commercialisti, avvocati, etc ma nessuno che avesse una vaga idea di cosa fossero queste gift card. Ho provato a chiedere anche nelle banche vicine ma niente. Per motivi di tempo non sono riuscita ad andare dentro la Ricordi dove vendono i biglietti dei singoli eventi, magari è possibile acquistare la Gift Card lì. Nel dubbio potete farvela recapitare, ovviamente è necessario qualche giorno quindi conviene giocare d’anticipo.

Abbonamento rivista

Un grande classico tra i miei regali, ne avevo parlato già due anni fa. Quest’anno ho regalato l’abbonamento a Wired: oltre ad essere una rivista che mi piace leggere l’abbonamento è decisamente conveniente rispetto al costo della singola copia.

What, Who, Where (e When): qual è il futuro dei servizi online?

In questi giorni ho letto la presentazione "2010 Social Media Influencers – Trend Predictions in 140 Characters, by TrendsSpotting" dove i cosiddetti guru della rete hanno dato la loro opinione su quali saranno i principali trend del 2010.

Tra i vincitori sul podio delle previsioni troviamo il trend “location”:

Pete Cashmore: “Fueled by the ubiquity of GPS in modern smartphones, location-sharing services may become the breakout services of the year … provided they’re not crushed by the addition of location-based features to Twitter and Facebook.”

Michael Litman “I believe that the next “big thing” will be a greater sense of personalization and location-based offerings. We’re starting to see this example in Foursquare”.

eMarketer: “The biggest near-term opportunities will come from location-aware applications.

Robert Scoble: “We’re going to see an explosion of things that use location. Cool businesses that are hip are already doing Foursquare promotions now, but that will boom in 2010. Foursquare – the “cool kids” are on it, it feeds on itself. People are going to use system all of their friends are on”.

Mi ero soffermata a pensare al cosiddetto trend “location” qualche mese fa leggendo un articolo su Adage dal titolo “Places, Please: How location changes digital marketing” dove oltre a considerare gli hard facts come la crescita del numero di dispositivi mobili dotati di GPS, l’autore ha analizzato il fenomeno da un punto di vista più contenutistico.

“To understand why people are so excited, look at the impact other digital innovations have had. Search for example, solved a big part of the “what” problem helping you find what you’re looking for. And while search didn’t know much about our social filters, social networking came in and offered up a “who” filter. Now we’re looking at the “where”.”

What, Who, Where. Tre “filtri” che ci consentono di avere informazioni più pertinenti e mirate ma soprattutto una semplificazione che ci dà la possibilità di provare ad analizzare l’evoluzione dei servizi e fare qualche ipotesi sulle future innovazioni.

What

In principio fu il “What” ossia la ricerca di “cose” nella rete, dove con “cosa” intendiamo qualunque tipo di informazione, inerente a prodotti, luoghi, persone, restituita a noi da un algoritmo (si fa per dire). Le evoluzioni più interessanti di questo filtro sono quelle relative alla ricerca semantica, ossia il passaggio da una ricerca sintattica, basata su parole chiave e slegata dal contesto in cui queste vengono utilizzate ad una ricerca che analizza il testo interpretando il significato logico delle frasi avvicinandosi quindi al meccanismo di apprendimento umano. L’importanza e la criticità di questa evoluzione è dimostrata dagli investimenti ad essa destinati dai big player come nel caso della recente acquisizione di Powerset da parte di Microsoft

Who

I social media hanno poi introdotto quello che avevo definito il “filtro sociale” ossia lasciare che sia l’aggregazione delle scelte e delle segnalazioni del nostro network di contatti a far emergere le novità e gli interventi più interessanti. Friendfeed, il social media che utilizzo con maggiore frequenza, funziona esattamente così:

  • ogni qualvolta un thread viene commentato viene riportato in alto nella homepage
  • è possibile visualizzare, e ricevere via email, il meglio del giorno, ossia i contenuti più commentati e likati dai nostri contatti
  • visualizziamo anche i contenuti di utenti che non sono nostri friends quando i nostri contatti aggiungono un commento o un like.

Mia zia una volta mi ha detto “It doesn’t matter what you know, but who you know”. Il filtro Who cambia a mio avviso questo punto di vista in: “It doesn’t matter what you know but what who you know knows” (sì lo so, la consacrazione della cacofonia).

Where

Il 2009 è stato l’anno del “Where”. L’interesse legato alla localizzazione non è legato in realtà all’introduzione di una vera e propria nuova modalità di accesso alle informazioni – i GPS che ci danno la nostra posizione e ci fanno vedere quello che ci circonda esistono da un po’ di tempo ormai – ma alla possibilità di affinare le ricerche fatte utilizzando i filtri “what” e “who”.

Prendiamo a titolo esemplificativo Brightkite, una soluzione che integra le logiche dei servizi di microblogging come Twitter con quelle di riconoscimento della propria posizione geografica e del geotagging. Si potrebbe dire che Brightkite = Who + Where.

Lo stesso Google Maps è un’evoluzione in chiave “Where” del motore di ricerca associando ai risultati di ricerca una mappa o posizionandoli direttamente al suo interno. Google Maps = What + Where.

E se provassimo ad analizzare l’ultima combinazione ossia What + Who? Otteniamo due categorie di servizi: la “People Search” e la “Social Search”.

Con “People Search" faccio riferimento al processo di ricerca in rete di persone e soprattutto di informazioni sulle stesse. Il punto di partenza di ogni ricerca, ossia Google, ci restituisce spesso tra i primi risultati la pagina di Facebook e/o la pagina di Linkedin della persona che stiamo cercando, due social network in cui siamo presenti con il nostro nome e cognome. Accanto a questa categoria di risultati ne emerge un’altra che è quella relativa agli aggregatori di informazioni su individui come Pipl e 123people che tentano da una parte di superare il “limite” dell’accesso ridotto alle informazioni a meno che tu non sia un contatto della persona che stai cercando (anche se nel caso di Facebook ad esempio le recenti modifiche alle impostazioni sulla privacy hanno reso pubblici dati personali che prima non erano visibili) dall’altra di aggregare passivamente, ossia senza il contributo dell’utente, tutte le informazioni presenti online su quest’ultimo, a differenza di Facebook e Linkedin dove è necessario aggiungere nel proprio profilo le informazioni da visualizzare, e quindi anche quelle provenienti da siti esterni come ad esempio Flickr per le foto e YouTube per i video.

Con "Social Search" intendo invece la possibilità di filtrare i risultati di ricerca “classici” (il “What”) in base alle preferenze dei miei contatti o ai contributi da essi stessi immessi nella rete. Il video recentemente caricato da Google “Social Search demonstration” spiega decisamente meglio questo concetto ossia come combinare il What e il Who. 

Nella combinazione What+Who possiamo quindi dire che Google è molto forte nel What ma deve rafforzare il Who, mentre Facebook ha una componente Who molto forte e ha delle opportunità da cogliere attraverso il miglioramento del What.

Le possibili combinazione tra What, Who e Where ci consentono quindi di "mappare" alcuni dei servizi e applicazioni realizzati in questi ultimi anni e ipotizzare quali potrebbero essere le aree di miglioramento degli stessi o le opportunità per nuovi sviluppi.

What / Who / Where: mappatura dei servizi

Se dovessi, infatti, pensare all’evoluzione dei servizi mi verrebbe spontaneo credere che la soluzione perfetta è quella che sfrutta in maniera ottimale la combinazione What+Who+Where.

Quindi vi chiedo:

  • Esiste già un servizio che sfrutta e combina le dinamiche di What+Who+Where?
  • Quale player potrebbe trarre vantaggio dalla combinazione di What+Who+Where?
  • Come ve lo immaginate il servizio ideale What+Who+Where?

Provo ad immaginarmi una situazione tipo per cercare di rispondermi: sono a Milano e mi viene un’improvvisa voglia di andare a mangiare in un ristorante indiano a Milano. Il servizio ideale dovrebbe:

  • propormi ristoranti con cucina indiana (What)
  • ristoranti vicini a dove sono in quel momento (Where)
  • segnalarmi eventuali recensioni e commenti postati da altri utenti, e indicarmi se tra questi sono presenti miei "friends" (Who).

Lo trovo. Vado fiduciosa. Ne esco un po’ delusa. L’amica che c’era stata ne aveva parlato con toni entusiastici e io mi fido ciecamente del suo gusto. La chiamo. Ecco cosa mi dice: "Ah sì era davvero eccezionale fino a un anno fa, poi ha cambiato gestione".

Nell’ipotetico serivizio ideale mancava un ulteriore filtro: il When. Se avessi ricevuto un commento dalla mia amica in tempo reale sul ristorante avrei evitato di andarci. Il Real Time Web è stato un argomento già affrontato più volte nel 2009 dando anche origine a dibattiti sulla sua effettiva utilità, ma ho l’impressione che il 2010 sarà il suo anno. Cosa ne pensate?

Chiudo con un invito: e se provassimo ad analizzare le possibili combinazioni di What, Who, Where e When? Buon divertimento 🙂

Tecniche di (auto)promozione 2.0 e 1.0 di un ebook

Venerdì scorso, 30 ottobre, ho partecipato alla quarta Girl Geek Dinner bolognese, per la prima volta non solo come partecipante ma come speaker.

Il tema della serata era l’ebook e il team di Bologna mi ha invitato a parlare de I trucchi di una digital strategist.

Per l’occasione ho preparato una presentazione in cui ho descritto brevemente il contenuto dell’ebook e come è nato per poi soffermarmi su come ho cercato di renderlo visibile online attraverso l’utilizzo dei miei spazi social.

L’evento ha rappresentato anche il momento ideale per "ufficializzare" il mio editore: ovviamente Simplicissimus Book Farm che è stato anche sponsor della GGD.

Il mio intervento si è chiuso con un video in cui racconto alcune tecniche di promozione 1.0 di un ebook. In realtà il video è molto meno serio di quanto il titolo possa far pensare, ve ne accorgerete guardandolo.

I materiali a cui faccio riferimento nel video sono scaricabili qui:

Ovviamente se qualche pazzo come me volesse provare ad utilizzarli mandatemi qualche prova fotografica o un video della pazzia che ci facciamo due risate.

Eccone due 😉

Un doveroso ringraziamento va ad Antonio Tombolini e Marco Croella di SBF, alle ragazze del team della GGD di Bologna per avermi invitato, ad Anna per aver reso possibile questa trasferta (ero stampellata e avevo bisogno di assistenza 🙂 ), a Maurizio per il brainstorming 1.0 e a Laura per i disegni.

Cosa vale la pena salvare su questo pianeta? Dillo su Twitter #thisplace

Un mese fa circa, Christian, mio caro amico conosciuto a Londra, mi dice di avere avuto un’idea insieme ad altre persone in merito a come portare la voce collettiva della rete alla Copenhagen Climate Conference (7-18 dicembre 2009) e "metterla nelle mani" dei delegates.

L’idea in sè è semplice e quindi potenzialmente efficace, la sua diffusione, come spesso succede, difficile e un tantino ambiziosa, a tal punto da farmi pensare che avrebbero presto abbandonato il progetto.

Mi sbagliavo.

Così nasce This Place.

L’idea è questa: usare Twitter per rispondere ad una domanda?

What’s
 worth
 saving 
in 
#thisplace?

tradotto in italiano sarebbe: Cosa vale la pena salvare su questo pianeta?

Tutto qui. O meglio questo è quello che gli utenti devono fare. Scrivere un twit, possibilmente in inglese, con la risposta a questa domanda e ricordarsi d inserire l’hashtag #thisplace.

Quello che faranno Christian, David e Becky sarà stampare i twit e pubblicarli in un libro che metteranno nelle mani dei delegates a Copenhagen.


“Climate 
change 
is
 such a
 big 
and 
complex 
issue 
we
 wondered 
if 
there 
was
  a 
way 
to
 somehow 
squeeze 
it 
all 
into 
something 
small 
and 
simple
 that 
could
 make 
a
 difference
 at 
Copenhagen.” [Christian]

To
 lots 
of 
people 
Climate
 change 
seems 
like 
a
 remote 
issue 
‐ 
we
 wanted 
to 
capture 
personal
 stories 
of 
the 
impact 
it’s 
having 
on
 peoples 
lives
 today
 or
 in
 the
 near 
future.” [David]

Per partecipare all’iniziativa e restare aggiornati sulla sua evoluzione i ragazzi hanno creato www.thisplace09.com dove è possibile vedere l’aggiornamento del Twitter Feed con gli ultimi twit pubblicati, iscriversi all’account di Twitter, leggere il blog e diventare fan della pagina su Facebook.

Ovviamente i numeri in questo momento sono molto molto bassi, conoscendo uno degli ideatori del progetto sono una delle prime persone a parlarne, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.

Non so se riusciranno nel loro intento ma io faccio un grosso in bocca al lupo.

Qui i loro contatti personali

David@thisplace09.com

Christian@thisplace09.com

Becky@thisplace09.com

Christian mette a disposizione anche il suo numero di cellulare per chi volesse parlarne con lui a voce +44 787 655 6469.

Riflessioni su “Ode allo Spreco” di Chris Anderson

Recentemente sul numero di Ottobre di Wired Italia ho letto “Ode allo Spreco” di Chris Anderson, direttore di Wired US.

“La tecnologia tende a somigliare sempre di più alla natura. Abbondare è l’unico modo per prosperare e assicurarsi una chance di sopravvivenza. Nella dura vita delle nuove economie, meglio imparare la lezione del libero arbitrio di YouTube”

In sintesi i principali concetti dell’articolo:

  • A differenza della natura che è portata a sprecare vita per cercare vita migliore noi esseri umani non siamo predisposti positivamente verso lo spreco, lo consideriamo eticamente sbagliato (pensiamo al senso di colpa che proviamo nei confronti del cibo: se dovessi cucinare una torta e questa non mi soddisfa pienamente non la butterei via per provare a farne una migliore, ma mangerei quella mediocre perchè sarebbe un peccato gettarla nella spazzatura).
  • Il concetto di spreco è soggettivo e muta nel tempo perchè cambia il valore economico di alcuni prodotti e servizi; Anderson fa l’esempio della differente percezione di una chiamata interurbana tra nonni e nipoti: i primi la vivono come qualcosa da fare in fretta senza perdere tempo perchè dispendiosa nonostante oggi il costo delle telefonate si sia drasticamente ridotto, i secondi quasi non si pongono il problema.
  • La tecnologia oggi ci consente di sprecare proprio come avviene in natura perchè il costo dello spazio che occupiamo con i nostri sprechi (dati, file, etc) è prossimo allo zero.
  • YouTube è un esempio concreto di sfruttamento dello spreco: una specie di esperimento collettivo per esplorare lo spazio potenziale dell’immagine in movimento “sprecando video” in cerca di video migliori.
  • YouTube mette in crisi il concetto di qualità, scardinandolo da ogni valenza oggettiva per lasciare posto a quelle soggettive: è risaputo che YouTube è pieno di cosiddetta spazzatura, ma non lo è nel momento in cui un video come il piccolo panda che starnutisce totalizza oltre 40 milioni di views. Anderson fa l’esempio dei suoi figli appassionati di Star Wars che preferiscono le animazioni in stop motion ricreate con il Lego da bambini di nove anni loro coetanei rispetto al dvd HD. “La spazzatura è negli occhi di chi la guarda”.
  • YouTube cambia le logiche del marketing facendo emergere un mercato prima invisibile in cui la domanda è spesso inespressa o ignorata e l’offerta va ricercata all’interno dello spreco. Riprendendo l’esempio dei suoi figli, Anderson dice che “dev’esserci sempre stata una domanda di Star Wars in stop motion, ma era invisibile perchè nessun esperto di marketing aveva avuto l’idea di offrire un prodotto del genere”. YouTube stravolge le logiche del media introducendo una logica di abbondanza in un settore fortemente caratterizzato dalla gestione della scarsità. Riprendo un passaggio dell’articolo: “Se controlliamo risorse scarse (per esempio la TV in prima serata), dobbiamo scegliere attentamente. Quelle mezz’ore di trasmissione hanno costi reali, e se non si raggiungono le decine di milioni di spettatori si paga con soldi bruciati e carriere distrutte. Non stupisce che i dirigenti televisivi si affidino alle sit-com e alle celebrità: una scommessa sicura in un gioco costoso. Ma se potete sfruttare risorse abbondanti, potete correre rischi perchè il costo del fallimento è basso. Nessuno viene licenziato se la vostra clip su YouTube viene vista solo da vostra madre.
  • In un mondo in cui scarsità e abbondanza coesistono è necessario “perseguire simultaneamente controllo e caos”.

Mi sembra un punto di vista molto interessante ma a tratti incompleto.

Non ho letto gli eventuali approfondimenti su questo tema ma vorrei condividere alcuni pensieri su alcuni passaggi dell’articolo che ovviamente mi interessano quando devo considerare l’Economia dell’abbondanza nel mio ambito lavorativo.

Anche internet è gestita in logica di scarsità.

Ovviamente non “internet” globalmente, solo alcuni dei suoi ambienti, ma credo sia opportuno ricordarlo perchè nell’articolo di Anderson mi sembra che i media classici vengano analizzati come se avessero logiche totalmente differenti dai digital media.

Anche quest’ultimi sono interessati da una logica di scarsità, pensiamo ai portali e alle testate giornalistiche online. La visibilità si paga, non tanto quanto sui mezzi classici come la TV, ma non è gratis.

La stessa homepage di YouTube richiede un investimento spesso non marginale in termini di quote di budget.

Di conseguenza procedere per tentativi, sperimentare sprecando con l’obiettivo di cercare la soluzione migliore può essere oneroso se il video in questione è appunto nella homepage di YouTube o del Corriere (a questo proposito vado un po’ OT ma vi ricordo alcune discussioni “roventi” su Friendfeed in merito alla sponsorizzazione di Lancia Delta appunto sul Corriere).

Il rovescio della medaglia è che l’economia della scarsità online si trascina gli stessi atteggiamenti prudenziali e sbagliati tipici dei media classici. Anderson dice che i dirigenti televisivi puntano sulle celebrità per non “sbagliare”, io vedo web marketing manager che per lo stesso motivo, andare sul sicuro, decidono di riproporre online lo spot televisivo, tale e quale, o perchè hanno paura di puntare su qualcosa di diverso o perchè nella loro percezione è il contenuto di maggiore qualità che hanno a disposizione (quello che è costato di più produrre). Potrebbero avere contenuti inediti, magari banalmente i dietro alle quinte dello spot con episodi divertenti delle riprese o i commenti a caldo dei protagonisti, ma preferire lo spot andato in onda, perchè gli altri contenuti non sono qualitativamente adeguati.

Qui ovviamente ha ragione Anderson quando dice che la spazzatura è negli occhi di chi la guarda e che c’è una domanda che il marketing non vede e a cui quindi non può rispondere.

Internet ha una memoria che lascia molte tracce. Caotica, ma potenzialmente infinita.

Sì è vero, il costo dello spazio occupato dai dati oggi si avvicina allo zero, ma è anche vero che questo rende possibile immagazzinarne la memoria storica.

Arriverò al dunque: se metti online una cavolata è molto difficile farla sparire. Puoi eliminarla dalla tua macchina ma questo non esclude che qualcuno l’abbia salvata e ripubblicata in altri spazi della rete. Quindi anche in questo caso sprecare per andare alla ricerca del contenuto perfetto può essere controproducente perchè nulla esclude che l’utente arrivi al tuo spreco prima di arrivare al tuo contenuto perfetto.

Anche nel caso in cui l’utente scopra il contenuto perfetto non è escluso che per approfondirlo non arrivi agli sprechi che lo hanno preceduto.

Questo ragionamento vale ovviamente per le aziende, per le celebrities, ma anche per le persone comuni: vogliamo davvero che il nostro potenziale datore di lavoro cercando informazioni su di noi arrivi a quel famoso video che ha fatto tanto scompisciare i nostri amici? Anche questo è un tema che richiederebbe un approfondimento ma in questo post eviterei (vi suggerisco la sempre valida presentazione di Sara al Parmaworkcamp "Quando anche il tuo capo è online", qui ripresa in video da Elena).

Attenzione, non voglio censurare un determinato tipo di comportamento online, io stessa ho vita morte e miracoli di me stessa nei vari social media ma ad ognuno dò un ruolo e li tengo per quanto possibile sotto controllo.

Vorrei solo suggerire un po’ di prudenza verso la cosiddetta Economia dell’Abbondanza e approfondire un aspetto solo accennato da Anderson nell’articolo che è quello di perseguire simultaneamente controllo e caos.

L’approccio all’Economia dell’abbondanza dovrebbe iniziare non dallo spreco ma dal monitoraggio.

In conclusione posso dire che a mio avviso il miglior modo per sfruttare questa abbondanza è iniziare da subito a monitorarla.

Il monitoraggio dovrebbe interessare quattro categorie di contenuti:

  1. I tuoI contenuti per avere una visione d’insieme degli “sprechi” già pubblicati e ricostruirne uno storico. Come sono stati recepiti? Come sono stati riutilizzati da parte degli utenti? Sono davvero degli sprechi inutili o se modificati possono evitare di sprecare ulteriormente generandone di nuovi?
  2. I contenuti che parlano di te per capire come controllarli ed eventualmente gestirli. Internet ha il vantaggio rispetto agli altri mezzi di poter modificare, taggare, commentare, linkare, aggregare ciò che viene distribuito in rete. Se qualcuno pubblica un video su un nostro prodotto è scontato dirlo ma è importante essere il primo a saperlo in modo da decidere se e come reagire. Se gli utenti ad esempio pubblicano video tutorial sui nostri device potrebbe essere una buona idea creare un ambiente dove aggregarli piuttosto che crearne di nuovi (ed evitare ancora una volta “sprechi”).
  3. I contenuti degli altri per controllare cosa è già disponibile in rete per evitare di aggiungere “sprechi” già realizzati. Anderson afferma che “presto o tardi ogni video realizzabile sarà realizzato”: a mio avviso sarà più tardi che presto perchè la cultura del Remix può portare alla generazione di infinite versioni di uno stesso contenuto, ed è opportuno monitorare la rete per evitare di investire risorse nella creazione di qualcosa che esiste già se non è necessario.
  4. I commenti ai contenuti: per cercare di capire cos’è la qualità oggi. Non voglio dire che il video del panda che starnutisce sia un video eccelso ma se ha totalizzato così tante views forse è meglio farsi delle domande su cosa è possibile offrire oggi ed esplorare il web alla ricerca di stimoli che stravolgano magari i canoni tradizionali di qualità.

Voi cosa ne pensate? Secondo voi qual è il giusto modo di approcciare questa Economia dell’Abbondanza? Avete esempi interessanti di gestione dello "spreco"?